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Strage di pesci in Veneto: cosa sta succedendo

In località Portegrandi, tra Musile e Quarto d’Altino, in Veneto, si è registrata una strage di pesci: in centinaia sono stati trovati morti

Portegrandi

Centinaia di pesci morti lungo il canale Vela, il corso d’acqua che scorre tra il territorio di Musile e quello di Quarto d’Altino, in provincia di Venezia.

Le segnalazioni sulla presenza dei pesci morti sono arrivate lo scorso 29 giugno da località Portegrandi, quando i corpi di siluri, lucioperca e carpe hanno iniziato ad affiorare dal canale praticamente in secca a causa della siccità. Secondo una prima stima sarebbero circa duecento gli esemplari di pesci d’acqua dolce morti, come riscontrato dai volontari della Guardia rurale ausiliaria (Nogra) del Veneto.

«È stata segnalata una vasta moria di pesci lungo il canale Vela in località Portegrandi – hanno spiegato i volontari – Le nostre Guardie sono intervenute sul posto ed hanno effettivamente riscontrato la vasta moria di pesci. In seguito è intervenuta la Polizia Provinciale della Città Metropolitana di Venezia che farà seguito con gli interventi del caso presso gli enti pubblici preposti».

Moria di pesci in Veneto, le possibili cause

I tecnici della Asl hanno quindi raccolto alcuni campioni sia dei pesci morti sia delle acque per compiere analisi approfondite, e nel frattempo si dibatte sulle cause. Ciò che sembra altamente probabile, però, è che la moria di pesci sia dovuta alla siccità: il canale, ormai ridotto a un rigagnolo e scarsamente ossigenato, non consente la sopravvivenza dei pesci. E c’è poi il problema dell’aumento della salinità dell’acqua, dovuto alla risalita del cuneo salino, ovvero l’intrusione delle acque di mare verso l’entroterra.

Resta comunque da accertare che la moria non sia dovuta all’inquinamento. Il canale Vela, infatti, è uno dei corsi d’acqua maggiormente inquinati a causa principalmente delle numerose discariche abusive già individuato in passato nella zona.

Siccità, lo stato critico dei fiumi in Italia

La siccità è ormai diventata un macro problema in gran parte d’Italia. Il riscaldamento globale e la scarsità di piogge ha inaridito moltissimi corsi d’acqua, primo tra tutti il Po, che oggi registra valori minimi pari al 30% circa della media stagionale. In Veneto il problema è molto sentito, basti pensare al Brenta, che per lunghi tratti è completamente asciutto. Non va meglio in Toscana e in Emilia Romagna, con conseguenze molto pesanti sull’approvvigionamento idrico.

Una situazione che si protrae dall’inverno: da dicembre a fine febbraio l’Italia ha registrato il 60% di neve e l’80% di pioggia in meno rispetto alla media stagionale, e già a gennaio l’Arpa aveva comunicato che i millimetri di pioggia rilevati erano stati solo 4,8 contro i 46 dello stesso periodo in passato.

Alla luce dei preoccupanti dati che arrivano dal territorio, alcune Regioni stanno valutando dunque di emettere un’ordinanza che dichiari lo stato di calamità dovuto alla siccità, passo già intrapreso dalla Lombardia e cui potrebbe arrivare anche il Lazio, dove fiumi come il Tevere, il Liri, il Sacco e l’Aniene sono nettamente calati. E le conseguenze si fanno sentire anche sugli ecosistemi che si sviluppano intorno ai corsi d’acqua dolce: numerose le morie di pesci causati dalle secche e le specie che non sono riuscite a riprodursi a causa dell’aumento delle temperature e della mancanza di acqua.