Intelligenza artificiale: chi rischia di perdere lavoro in Italia
L'avvento dell'intelligenza artificiale avrà un impatto notevole, ma non sempre in senso positivo: ecco chi è a rischio di perdere il lavoro
Si parla molto dello sviluppo dell’intelligenza artificiale e dell’impatto che quest’ultima può avere nel mondo del lavoro: potrebbe di gran lunga rendere più semplici numerosi processi, dando vita ad un’automazione sempre più avanzata. Ma al tempo stesso potrebbe mettere in pericolo moltissime posizioni lavorative, per le quali – in un futuro non troppo lontano – c’è il rischio che non sia più necessaria la componente umana. A rivelare l’influenza delle nuove tecnologie smart sul mercato del lavoro (italiano e non solo) è un recente rapporto stilato da Confartigianato.
Intelligenza artificiale, i lavori a rischio
Partiamo subito con qualche numero: secondo il report di Confartigianato, sono ben 8 milioni e mezzo i posti di lavoro a rischio, per via della diffusione dell’intelligenza artificiale. Le posizioni che potrebbero farne maggiormente le spese? Si tratta dei cosiddetti “colletti bianchi”, ovvero quei lavoratori che svolgono mansioni non prettamente manuali, bensì le quali richiedono elevate competenze intellettuali e amministrative. Grandi dirigenti e manager (sia nel settore pubblico che in quello privato), esperti in discipline quali quelle commerciali, scientifiche e ingegneristiche, professionisti dell’informatica e tecnici sono i mestieri che, in futuro, potrebbero essere soppiantati dall’AI.
Confartigianato fa anche il punto della situazione sulle aree geografiche in cui i lavoratori sono maggiormente a rischio: in testa spicca la Lombardia, con il 35,2% dei nuovi assunti (con riferimento al 2022) che potrebbe perdere l’occupazione per via dell’intelligenza artificiale. A seguire, troviamo il Lazio (32%), il Piemonte e la Valle d’Aosta (27%), la Campania (25,3%), l’Emilia Romagna (23,8%) e la Liguria (23,5%). A livello europeo, i Paesi che hanno un maggior numero di posizioni in pericolo sono il Lussemburgo (59,4%), la Germania (43%), la Francia (41,1%) e la Spagna (35,2%).
Il lato positivo dell’intelligenza artificiale
L’avvento dell’intelligenza artificiale, tuttavia, non è completamente negativo. Se sfruttata nel modo giusto, la tecnologia può rivelarsi di grande aiuto anche nel mondo lavorativo. Senza dover arrivare a scenari apocalittici, dove il lavoro umano viene completamente soppiantato dall’AI, il report di Confartigianato fa notare alcuni dei lati positivi dello sviluppo tecnologico e dei processi di automazione. In Italia, già il 6,9% delle piccole aziende utilizza robot per agevolare i processi produttivi, mentre il 5,3% delle piccole e medie imprese ha adottato sistemi di intelligenza artificiale. Il confronto con il resto d’Europa è a nostro vantaggio, dal momento che sono moltissimi i Paesi decisamente più indietro dal punto di vista dell’automazione.
Dobbiamo dunque preoccuparci per il diffondersi di queste nuove tecnologie? “L’intelligenza artificiale è un mezzo, non il fine. Non va temuta, ma governata dall’intelligenza artigiana per farne uno strumento capace di esaltare la creatività e le competenze, inimitabili, dei nostri imprenditori” – ha affermato Marco Granelli, presidente di Confartigianato – “Non c’è robot o algoritmo che possano copiare il sapere artigiano e simulare l’anima dei prodotti e dei servizi belli e ben fatti che rendono unico nel mondo il made in Italy“.
A sostenere una tesi simile è anche lo studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro: secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, è decisamente più probabile che la maggior parte dei posti di lavoro sia solo parzialmente esposta all’automazione, e che venga integrata – e non sostituita – dall’intelligenza artificiale. Addirittura, c’è la possibilità che la diffusione di questi strumenti smart possano sì eliminare qualche occupazione, ma anche crearne di nuove, offrendo quindi possibilità di lavoro che prima non esistevano.
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