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Allarme acciughe nel mar Mediterraneo: cosa sta succedendo

Scatta l'allarme acciughe nel mar Mediterraneo: ecco perché stanno diventando sempre più piccole e in che maniera incidono i cambiamenti climatici

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Silvio Frantellizzi

Silvio Frantellizzi

Giornalista

Giornalista pubblicista. Da oltre dieci anni si occupa di informazione sul web, scrivendo di sport, attualità, cronaca, motori, spettacolo e videogame.

Acciughe in acqua

Scatta l’allarme acciughe nel mar Mediterraneo: stanno diventando sempre più piccole a causa dei tanti effetti negativi generati dal cambiamento climatico.

Allarme acciughe nel mar Mediterraneo, cosa succede

Come si legge su ‘Il Messaggero’, le acciughe, sempre più piccole, sono costrette a spostarsi verso il largo alla ricerca di acque più fresche, in quanto la riduzione progressiva delle correnti marine taglia in maniera sensibile il loro nutrimento.

Con il cambiamento climatico, le acciughe si ritrovano a non aver cibo a sufficienza: senza nutrirsi a dovere, la crescita degli esemplari si riduce e in generale aumenta la necessità di spostarsi alla ricerca di zone più prolifiche dal punto di vista dell’approvvigionamento di nutrienti.

Le acciughe risentono della riduzione dell’upwelling, fenomeno oceanografico che coinvolge il movimento di grandi masse di acqua fredda, densa e generalmente ricca nutrienti che risalgono verso la superficie dell’oceano, dove vanno a rimpiazzare l’acqua superficiale più calda.

Le nuove masse di acqua stimolano la crescita e la riproduzione di prodotti come il fitoplancton, base di ogni catena alimentare marina. L’intensità dell’upwelling dipende da diversi fattori, come la forza del vento, la variabilità stagionale, la struttura verticale della colonna d’acqua, le variazioni della batimetria del fondale e l’instabilità delle correnti marine.

La risalita di acque profonde, generata dalle correnti costali, ha l’impatto più elevato sulle acque arricchite in nutrienti e conseguentemente sulle rese delle attività di pesca. Lo sviluppo della biomassa di fitoplancton, dovuto a fenomeni di upwelling è un evento fondamentale in diverse zone, ed è cruciale in Perù, sulla costa occidentale degli Stati Uniti e in Africa nord-occidentale.

Tutte le specie a rischio

Della questione ha parlato Paolo Tiozzo, vicepresidente di Confcooperative Fedagripesca che ai microfoni di ‘Ansa’ ha lanciato l’allarme: “Entro il 2050 si rischia una riduzione del 20% dei fenomeni di upwelling, che saranno meno frequenti, intensi ed efficaci rispetto al passato, con effetti a cascata su pesci, ecosistemi e comunità costiere dipendenti dalla pesca”.

Le zone di upwelling coprono l’1% degli oceani a livello globale, ma forniscono fino al 50% di tutto il pescato mondiale. Nel mar Mediterraneo il fenomeno è meno intenso ma concentrato in aree specifiche, dove si costituiscono dei veri e propri ‘hotspot’ di produttività marina.

Diverse delle aree mediterranee più produttive si trovano in Italia: tra queste ci sono lo Stretto di Messina, il Canale di Sicilia, la costa Adriatica e Carloforte in Sardegna. Per capire quanto sia importante l’upwelling, basta considerare che solo in Adriatico, hanno fatto sapere da Federpesca, il fenomeno supporta tra il 40 e il 60% degli stock ittici.

Quando le correnti si riducono, uno degli effetti è quello delle migrazioni forzate, in questo caso delle alici, ma anche la proliferazione di specie aliene che provengono da acque più calde, aumentando così i rischi per le specie autoctone.

Tra le specie più colpite troviamo anche i ricci di mare, la cui densità è crollata sotto la quota di 0,2 individui per metro quadrato in Puglia e in Sicilia secondo i dati forniti da parte dell’Università del Salento. Almeno da un paio di anni, tra l’altro, si parla del rischio estinzione dei ricci di mare soprattutto in Sicilia.