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L'acqua suffregna ritrovata a Napoli dopo 50 anni si può bere

Dopo cinquant’anni è stata ritrovata a Napoli la fonte dell’acqua suffregna l’antica acqua ferrata oggi considerata potabile e valorizzabile

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Valentina Alfarano

Valentina Alfarano

Editor & Coach Letterario

Lavorare con le storie è la mia missione! Specializzata in storytelling di viaggi, lavoro come editor di narrativa e coach di scrittura creativa.

Acqua suffregna Napoli ritrovata potabile

A Napoli, sotto il Monte Echia, è tornata alla luce una sorgente che sembrava perduta. Nascosta da decenni tra le fondamenta degli edifici di via Chiatamone, l’acqua suffregna, nota in passato per le sue proprietà ferruginose, è stata riportata alla luce grazie a un progetto di recupero durato oltre quattro anni.

Come è stata ritrovata l’antica acqua ferrata di Napoli

Conosciuta anche come acqua ferrata del Chiatamone, l’acqua suffregna è una sorgente naturale dal caratteristico contenuto di ferro, a lungo considerata utile per sostenere il trattamento di lievi anemie. La sua riscoperta è avvenuta all’interno di un edificio comunale situato a Napoli in via Chiatamone 51, dove gli scavi hanno permesso di individuare due vasche: una più profonda, coperta da detriti, e una seconda più elevata, occupata da rottami metallici.

Il progetto di ricognizione è stato condotto da ABC Napoli, in collaborazione con il Laboratorio Architettura Nomade e il comitato Hydrosòphia, impegnati in attività di mappatura e studio del sistema idrico urbano. Dopo un’accurata fase di sgombero e messa in sicurezza, sono stati prelevati e analizzati diversi campioni d’acqua. L’intera documentazione – compresi i rilievi tecnici e i risultati dei test – sarebbe stata trasmessa al Comune di Napoli.

L’acqua suffregna di Napoli è davvero sicura da bere?

Secondo l’analisi effettuata dai tecnici di ABC Napoli, l’acqua prelevata dalla sorgente sarebbe potabile: infatti ha restituito parametri in linea con quanto tramandato dalle fonti storiche.

Come riportato su ‘Fanpage.it,’ le caratteristiche emerse sono state definite “sia idrologiche (portata) che chimico-fisiche in tutto coerenti con le più antiche informazioni disponibili e quindi con la conferma della possibilità di una potenziale riattivazione del plesso sorgentizio, sicuramente ai fini turistico-culturali, e verosimilmente, ottenendo le autorizzazioni di legge, anche ai fini del consumo”.

Durante i lavori di bonifica, è stato necessario installare un impianto di ventilazione forzata per abbassare la concentrazione di gas come idrogeno solforato e anidride carbonica, rilevati inizialmente a livelli elevati. Grazie a questi interventi, le condizioni dell’ambiente ipogeo sono state stabilizzate, rendendo possibile l’accesso in sicurezza per eseguire le operazioni di campionamento e svuotamento delle due vasche principali.

Cosa succederà ora alla fonte dell’acqua suffregna di Napoli

Con la fine delle attività di svuotamento, la sorgente entrerà in una fase di stabilizzazione naturale. È previsto che “il complesso sorgentizio raggiungerà una condizione di equilibrio in cui, pur se con entrambe le vasche allagate fino alla quota di circa 0,60-0,70 metri sul livello del mare (la quota piezometrica naturale della scaturigine in esame) risulterà stabilmente in tutta sicurezza”. Questo significa che, per il momento, la fonte non sarà accessibile, pur rimanendo monitorata.

Nel frattempo, l’associazione Hydrosòphia ha espresso preoccupazione per un possibile disimpegno sul sito. In una nota inviata al Comune, i promotori hanno sottolineato come “ancor con maggior entusiasmo la notizia era stata recepita dallo scrivente Comitato Promotore del Progetto Hydrosòphia che, dal 22 marzo 2022, d’intesa con il citato laboratorio, con l’Associazione Mondo Scuola e Cul City, è impegnato in un percorso di ricerche e indagini sul ricco patrimonio di acque presenti nel bacino idrico del Golfo di Napoli”.

Prosegue: “Le molteplici finalità del progetto Hydrosòphia, oltre al potenziale recupero di molte e importanti fonti diffuse tra Castellamare di Stabia a Capo Miseno, vedono come ulteriori obiettivi la possibile riutilizzazione a fini ambientali delle acque disperse del territorio partenopeo, la ricostruzione storica della cultura delle acque, la rivalutazione terapeutica delle stesse e il correlato riconoscimento da parte dell’UNESCO come patrimonio culturale e naturale”.