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Monete d'oro ritrovate a Como: il caso finisce in Tribunale

A Como è riemersa una brocca piena di monete d'oro antichissime: la questione sul suo ritrovamento è finita in Tribunale, e la sentenza è storica

Monete d'oro

Alcuni anni fa, da un cantiere in corso a Como è riemersa una brocca piena di antichissime monete d’oro di valore incredibile. Ne è sorta un’aspra diatriba in merito all’autore del ritrovamento e alla quota ad egli spettante, una vicenda che è finita in Tribunale. La sentenza che è stata emessa, e che ribalta il giudizio del Tar, può definirsi storica. Ecco che cosa è successo.

Il ritrovamento delle monete d’oro

Facciamo un passo indietro: nel 2016, Officine Immobiliari ha acquistato il terreno sui cui sorgeva l’ex Teatro Cressoni di Como, con l’obiettivo di ristrutturare i muri perimetrali e realizzare un complesso residenziale privato. L’opera di riqualificazione ha coinvolto anche la Soprintentenza per i Beni Archeologici della Lombardia, dal momento che l’area in cui dovevano essere effettuati gli scavi risultava a “rischio archeologico”.

In effetti, durante le operazioni sono riemersi numerosi reperti, tra cui alcuni preziosi scheletri. Quello che oggi conosciamo come il “Tesoro di Como”, tuttavia, è tornato alla luce solamente nel settembre 2018: si tratta di una brocca in pietra ollare, risalente al V secolo d.C. Al suo interno, sono state rinvenute mille monete d’oro di diversi imperatori romani, tutte in perfette condizioni. Ad una prima stima, si è parlato di un valore di circa 4 milioni di euro.

Ed è stato proprio in questo momento che hanno avuto inizio i problemi: “Il comportamento della Soprintendenza meneghina, che fino ad allora era stato collaborativo, cambia. Diventa autoritario e ostile nei nostri confronti. Da parte nostra cerchiamo un dialogo con gli ispettori, ci proviamo in tutti i modi, ma senza riuscirci. Così decidiamo di procedere per vie legali” – ha affermato il dottor Saba Dell’Oca, AD di Officine Immobiliari, come riporta ‘Repubblica’.

La sentenza del Consiglio di Stato

Il Ministero voleva riconoscere solamente il 9,25% del valore del ritrovamento, ma la società (che è proprietaria del terreno in cui è avvenuto) non ha accettato. Si è così rivolta al Tar, che tuttavia ha dato ragione alla Soprintendenza. Officine Immobiliari, appellandosi al Codice dei Beni Culturali, ha dunque fatto ricorso chiedendo che gli venisse conferito il 50% del valore delle monete d’oro, in quanto sia scopritore che proprietario dell’area in cui sono state trovate.

Il Consiglio di Stato, con una sentenza storica, ha ribaltato la decisione del Tar. I giudici hanno infatti stabilito che alla società, in quanto concessionaria del terreno in cui è avvenuto il ritrovamento, spetta il 25% del valore del bene. Ma il collegio si è spinto oltre: ha affidato ad Officine Immobiliari anche la titolarità della scoperta.

“Riconosciuto che le attività di scavo erano state svolte direttamente dalla proprietaria, seppur attraverso la materiale esecuzione da parte di soggetti e macchinari incaricati, il conseguente ritrovamento non può che imputarsi direttamente alla stessa società” – si legge nelle motivazioni. Dunque, si tratta di un ulteriore 25% del valore, che sommandosi all’altra percentuale va a concedere alla società ben la metà di quanto ritrovato.

“La sentenza rappresenta un momento di definitiva chiarificazione del diritto al premio. È stato inoltre duramente censurato l’atteggiamento autoritario dei funzionari, refrattari a priori dall’ascoltare le considerazioni e le idee del cittadino, pur avendone ricevuta la massima collaborazione economica e professionale. È dunque una sentenza storica” – ha dichiarato Dell’Oca.