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La pasta preferita dagli chef italiani

Qual è la pasta migliore in Italia? A questa importante domanda hanno dato la loro risposta alcuni tra i più noti chef italiani: il sondaggio

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Pasta

Pasta, che passione! Si tratta di uno degli alimenti più iconici del nostro Paese, ma ognuno ha la sua preferita, per formato e marca. Ma quale tipo di pasta preferiscono i grandi chef italiani? A questa domanda ha risposto ‘La Repubblica’.

Pasta migliore in Italia: le risposte degli chef

Lo chef Mauro Uliassi nel suo ristorante stellato usa Pasta Pietro Massi: “Ha un livello tecnologico incredibile e Pietro è un ricercato indefesso, la migliore per consistenza e piacevolezza in bocca. La pasta deve avere digeribilità, carnosità e morso, assieme al sapore di grano, le ha tutte”. Nessuna preferenza sul formato: “La preferita è quella che viene meglio, che al momento di prepararla e mangiarla dà il massimo della soddisfazione”.

Chef Francesco Apreda di Idylio sceglie, invece, proprio per formato: “Utilizzo diverse tipologie e formati perché ogni pastificio ha il formato per cui si distingue. Per me Mancini per i cappellini, Felicetti per le fettuccine al kamut, Gerardo di Nola per il maccherone liscio”.

Discorso simile per Ernesto Iaccarino di Don Alfonso: “Per la lunga preferisco come essiccazione Pastificio dei Campi, per la corta Pasta Gentile. Entrambe rispettano la filiera italiana del grano e restano sul territorio. Amo gli spaghetti. Da bambino era la prima cosa che si trovava nello scaffale e ancora oggi li trovo eleganti per come si legano al sugo di pomodoro e a quelli di pesce”.

Caterina Ceraudo di Dattilo ha risposto così: “Mancini e Felicetti in base alle preparazioni e al rilascio di amido. Con un condimento più liquido voglio una pasta che trattenga di più il sugo, con un condimento strutturato una pasta più liscia”. La chef calabrese ha aggiunto: “L’affezione è per il rigatone, ma solo in casa. È un legame con l’infanzia, mi piacciono con la genovese”.

Zaccardi del Pashà a Conversano sceglie la Pasta del Duca: “Non rilascia troppo amido, non mi piace quando le paste diventano collose”. Poi ha precisato: “Per le mezze maniche utilizzo la pasta Massi, perché ogni pastificio ha il suo formato di punta. A casa le mezze maniche di Cocco le mangio con le pinze e non metto mai il formaggio sulla pasta. Nella pasta al parmigiano non metto nemmeno l’olio”.

Eugenio Boer di Bu:R a Milano e Peppe Guida in Costiera prediligono Pastificio dei Campi. Guida ha spiegato: “Puntano sulla qualità con una filiera controllata grazie alla visione di Giuseppe di Martino. Gestiscono sul Tavoliere delle Puglie appezzamenti dove si alternano grano, favino a maggese, ma pagando ogni anno il raccolto con il prezzo del grano. Utilizzano l’acqua di Gragnano, poi c’è la maestria dei pastai e il processo di essiccazione”.

Pino Cuttaia, chef e patron del ristorante due stelle La Madia a Licata, ha dichiarato: “Nella ristorazione d’autore penso che bisogni utilizzare formati speciali. Da noi si vuole anche qualcosa che sia bello nel piati oltre che buono in bocca. Per esempio, i capellini d’angelo sono modellabili”.

Nino di Costanzo, chef del bistellato Danì Maison a Ischia, opta per la pasta Gerardo di Nola: “Per noi meridionali la pasta asciutta è sempre stata fondamentale, non potrei pensare di non averla in menu: fa parte della nostra cultura culinaria, dieta e regione. Un patrimonio gastronomico che ci ha fatto conoscere nel resto del mondo. Amo i formati poveri come gli spaghetti, i tubetti e le falde di pasta spezzate che venivano messe nelle minestre”.

Marco Stabile, de L’Ora d’Aria a Firenze, ha spiegato: “Nel menu non c’è pasta secca, utilizzo Martelli per noi più che per i piatti del ristorante, però ogni tanto in carta ci sono gli spaghetti”. Per quanto riguarda il formato, ha indicato le ruote: “Erano la mia pasta preferita da piccolo. Mamma utilizzava quelle commerciali, oggi amo le ruote pazze di Cavalieri”.

La scelta di Franco Franciosi di Mammaròssa: “Pasta Mancini perché ci dà garanzie sulla filiera, una scelta che portiamo avanti con tutte le materie prime”. Ma non solo: Franciosi usa anche “Verrigni, solo nella versione con il grano di Valentini”.

Mancini è anche la risposta di Giovanni Passerini, chef e patron dell’omonimo ristorante a Parigi: “Ha un aspetto gustativo che già solo con olio si sente”.

Cristiano Tomei, per il suo L’Imbuto, sceglie Felicetti: “È una pasta viva, intendo che mette alla prova il cuoco. Va rispettata, ha un suo sapore e mi piace come reagisce in cottura: va assecondata e non violentata in padella”.