Il ghiacciaio dell'Adamello sta per scomparire: partito il countdown
Il ghiacciaio dell’Adamello sempre più vicino all’estinzione. L’appello degli scienziati alle istituzioni: abbiamo poco tempo per invertire la rotta
Il ghiacciaio dell’Adamello sta per scomparire per sempre: il ghiacciaio più grande delle Alpi italiane, che all’inizio del millennio raccoglieva circa 870 milioni di metri cubi di ghiaccio, in soli 23 anni ha perso la metà del suo volume.
La situazione è drammatica: lo rivela l’ultimo report di Climbing for Climate, evento promosso dalla Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile (Rus) con l’Università di Brescia, Legambiente, il Comitato Glaciologico Italiano e il Club Alpino Italiano.
Gli ultimi rilievi eseguiti sul ghiacciaio, tra il 30 e il 31 luglio 2023, disegnano i contorni di una morte annunciata, che arriverà ancora prima del previsto: se le cose non cambiano in fretta, sostengono i ricercatori, l’Adamello esisterà al massimo per altri 70 anni.
Il ghiacciaio dell’Adamello sta per scomparire: quando succederà
Il ghiacciaio dell’Adamello si sta ritirando, seguendo il drammatico copione che da anni coinvolge i principali ghiacciai italiani, dal Gran Paradiso alla Marmolada, che secondo geografi e glaciologi dell’Università di Padova potrebbe scomparire in appena 15 anni.
L’Adamello, la più grande riserva di ghiaccio delle Alpi italiane, è destinato a sparire dalle mappe nel giro di 60, al massimo 70 anni: lo rivela l’ultimo report di Climbing for Climate, il progetto che vede insieme Università degli Studi di Brescia, RUS, Legambiente, Comitato glaciologico italiano e Cai.
Nel corso della quinta edizione dell’evento Climbing For Climate, gli scienziati si sono spinti in quota per nuove attività di monitoraggio sullo stato del ghiacciaio.
Dal 2000 a oggi, l’Adamello ha perso circa la metà del suo volume. Ma c’è di più: in soli 15 anni, la sua estensione è passata dai 15,7 km quadrati di superficie ai 13,1 km attuali. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, l’imponente ghiacciaio alpino si estendeva per 19 km quadrati. Ciò significa che ogni 10 anni il ghiacciaio si ritira dell’11%: tra il 2080 e il 2090, se continua così, l’Adamello non ci sarà più.
Climbing For Climate: le ultime ricerche in quota
La quinta edizione dell’evento Climbing for Climate, un’iniziativa dimostrativa nata allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sugli effetti dei cambiamenti climatici in atto, ha condotto studiosi, esperti e universitari sull’Adamello per effettuare dei nuovi rilievi.
I ricercatori hanno scandagliato la superficie e le profondità dell’Adamello con diverse strumentazioni, inclusi dei registratori audio che sono stati calati nei crepacci che portano al cuore del ghiacciaio. Il ventre dell’Adamello nasconde i rumori delle crepe nel ghiaccio e il suono dell’acqua che scorre: un disperato urlo di dolore che preannuncia l’avvicinarsi del punto di non ritorno.
Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), le temperature in questa regione delle Alpi sono destinate ad aumentare: entro il 2050 saranno di 3 gradi superiori rispetto all’epoca preindustriale, ed entro la fine del secolo si arriverà a un aumento di temperatura compreso tra 3 e 6 gradi.
Quella dell’Adamello e degli altri ghiacciai alpini sembra una fine certa, accelerata dal pericoloso fenomeno che vede depositarsi sul ghiacciaio polveri scure trasportate dal vento, che aumentano l’assorbimento si radiazione solare da parte della superficie.
Allarme per l’Adamello: l’appello degli scienziati
Climbing For Climate si unisce così all’appello degli scienziati: “Siamo ancora in tempo per scegliere il nostro futuro climatico”, si legge in una nota, “siamo ancora in tempo per scegliere un futuro sostenibile che metta al primo posto la sicurezza, la salute e il benessere delle persone, come previsto dagli obiettivi europei di riduzione delle emissioni del 55% al 2030 e di neutralità climatica al 2050”.
Le Università organizzatrici, il Cai e la Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile hanno deciso di lanciare un appello alle istituzioni regionali e nazionali, “affinché il patrimonio territoriale venga preservato e arricchito, attraverso la protezione e il riequilibrio delle sue dotazioni finite e dei flussi di risorse rinnovabili”.
In particolare, prosegue la nota diffusa dagli organizzatori, per l’Italia si chiede di individuare su base sistematica “ i rischi per la preservazione del patrimonio territoriale”, di “adottare più rigorosi meccanismi di pricing delle emissioni, in grado di ridurre drasticamente l’impronta ecologica in tutti i settori-chiave” e di “mobilitare investimenti, sostenere cultura, ricerca, tecnologia e innovazione per la conservazione e valorizzazione del patrimonio locale”.
Si auspica inoltre la riduzione dei sussidi diretti e indiretti alle fonti energetiche fossili e una revisione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), “allineando i suoi obiettivi almeno con quelli di “Fit for 55” dell’UE e con l’azzeramento delle emissioni nette al 2050 e affiancandolo con un piano credibile di attuazione”.
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