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Caro bollette: stagione invernale a rischio in Italia

L’allarme viene da Federalberghi e dalle associazioni degli operatori turistici: senza un intervento del governo, la stagione sciistica è a rischio

Stagione sciistica a rischio, l'allarme degli albergatori

Sono sempre più numerosi gli alberghi italiani che rischiano di gettare la spugna a causa del caro bollette: a pochi giorni dalla chiusura di una storica catena di alberghi in Puglia, che aveva ricevuto bollette per 500mila euro, si teme oggi per le strutture ricettive del nord Italia. La stagione sciistica è ormai alle porte, e gli operatori turistici si trovano di fronte a uno scenario drammatico, segnato da costi di gestione sempre più alti e gravato da una totale incertezza per il prossimo futuro.

Stagione invernale a rischio: l’allarme di Federalberghi

Se già nel 2021 il comprensorio sciistico più grande d’Italia denunciava la difficile situazione legata ai rincari, trovandosi costretto ad aumentare il costo dello skipass, quest’anno la situazione rischia di diventare decisamente drammatica per gli operatori di strutture e servizi turistici.

L’allarme lanciato da Federalberghi è chiaro: dopo l’addio di una storica catena di alberghi in Salento a causa del caro bollette, si rischia di veder chiudere molte altre strutture ricettive in tutta Italia. “Il caso del Salento non sarà l’unico”, spiega il presidente Bernabò Bocca, “e nel prossimo mese ne vedremo tanti altri”.

Anche gli operatori del turismo invernale sono fortemente colpiti dagli aumenti delle bollette di gas e luce, e la stagione sciistica potrebbe essere gravemente compromessa da una situazione che Federalberghi non esita a definire drammatica.

Non possiamo permetterci di aspettare il 2024”, afferma Bocca, “trovare una soluzione per il costo dell’energia deve essere una assoluta priorità” del governo. Si unisce alla richiesta di un intervento dello Stato l’Associazione nazionale degli esercenti funiviari: anche le società che gestiscono gli impianti di risalita rischiano di non riuscire a far fronte agli aumenti delle bollette.

“Negli anni passati, in media, il costo dell’energia incideva tra l’8 e il 15%, oggi superiamo il 30%”, spiega la presidente Valeria Ghezzi al ‘Corriere’. “Se ci fermiamo noi, rimangono fermi tutti: chiudere gli impianti funiviari significa ammazzare la montagna”, afferma Ghezzi, “è già successo una volta e non credo che nessuno voglia ripeterlo”.

Caro bollette: saune spente e hotel aperti “a singhiozzo”

In attesa di una risposta da parte del governo, gli operatori turistici si stanno organizzando in modo da contenere i costi e garantire una stagione sciistica che, dopo due anni di Covid, è assolutamente necessaria.

In Trentino Alto Adige, per esempio, alcuni albergatori hanno deciso di chiudere le saune e di abbassare la temperature delle piscine per risparmiare sulle bollette. In ogni caso qui la stagione non è a rischio, spiega Manfred Pinzger, presidente dell’Unione albergatori dell’Alto Adige: “Le spese incidono parecchio ma questo non metterà a rischio la stagione, che dopo il Covid deve andare avanti”.

Dolomiti Superski, che gestisce gran parte delle piste da sci delle Dolomiti, garantisce che riuscirà a offrire un servizio in linea con gli standard qualitativi degli scorsi anni, e anche a Cortina l’attività è assicurata – anche se si brancola nel buio per quanto riguarda costi e disponibilità degli approvvigionamenti.

In Valle d’Aosta, invece, alcuni albergatori hanno deciso di combattere il caro energia modificando gli orari di apertura. Come spiega al ‘Corriere’ Filippo Ge’rard, presidente uscente dell’Associazione valdostana albergatori, alcuni si stanno organizzando “per essere aperti solo quando c’è un numero sufficiente di turisti, certi hotel apriranno solo nel fine settimana”. Altri ancora, quasi a seguire l’esempio delle luminarie di Natale “a tempo”, “rivedranno gli orari delle accensioni delle insegne esterne”.

La preoccupazione maggiore, spiega Ge’rard, è che in queste circostanze le persone potrebbero rinunciare alle vacanze invernali: gli aumenti “sono solo la punta dell’iceberg, dal momento che non vendiamo un bene essenziale”, conclude.