Scoperto il primo genoma di una vittima di Pompei: chi era
Per la prima volta i ricercatori sono riusciti a leggere il DNA di un abitante dell'antica Pompei: ecco chi era quest'uomo vissuto duemila anni fa
L’eruzione che distrusse Pompei ed Ercolano nel 79 d.C. è considerata la più letale di sempre nella storia d’Europa: morirono oltre duemila persone, soffocate dalle ceneri del Vesuvio, sorprese in strada o all’interno delle proprie case.
Gli scavi dell’area archeologica di Pompei sono iniziati alla fine del Settecento per volere di Carlo III di Borbone, e da allora sono una fonte inesauribile di affascinanti rinvenimenti e importanti indizi sulla vita della città di epoca romana.
Oggi sappiamo che è possibile conoscere il genoma di alcune vittime dell’eruzione del Vesuvio: una ricerca appena pubblicata sulla rivista internazionale Scientific Reports ci rivela per la prima volta l’identità di uno degli abitanti di Pompei, e alcuni preziosi dettagli sulla sua vita.
Il DNA di Pompei: la vita duemila anni fa
Secondo il racconto di Plinio il Giovane, l’eruzione del Vesuvio avvenne nelle prime ore del pomeriggio del 24 agosto dell’anno 79, ed era visibile da oltre 40 chilometri di distanza. Quel che è rimasto sotto le ceneri del vulcano, conservato quasi intatto per due millenni, è la testimonianza unica di una città di epoca romana cristallizzata nel tempo.
Quando fu distrutta, Pompei era un importante centro urbano: alcuni edifici splendidamente conservati, come la Casa del Fauno, la Casa del Chirurgo e la Casa dei Casti Amanti sembrano suggerire che la città fosse una destinazione turistica molto apprezzata dai romani più facoltosi.
Si stima che a Pompei avesse allora tra i 6.400 e i 20.000 abitanti. Nonostante la ricerca scientifica sia al lavoro dal XIX secolo sui resti umani rinvenuti Pompei, però, la possibilità di effettuare studi genetici sulle vittime del Vesuvio era rimasta una sfida aperta.
L’esposizione dei corpi alle altissime temperature generate dall’eruzione, infatti, ha significato per gli scienziati avere a che fare con matrici ossee distrutte e quantità minime di DNA, spesso di difficile lettura.
D’altro canto, si legge nella ricerca pubblicata dal team internazionale coordinato da Gabriele Scorrano, “i materiali piroclastici che hanno coperto i resti potrebbero averli protetti dall’azione di fattori ambientali come l’ossigeno presente in atmosfera, che altera il DNA”.
È andata così per uno dei due corpi rinvenuti nella stanza 9 della Casa del Fabbro, oggetto dello studio. Per la prima volta è stato possibile leggere il DNA di uno degli abitanti di Pompei, e ricostruire chi fosse questo individuo vissuto oltre duemila anni fa.
Chi era l’uomo di Pompei
Aveva tra i 35 e i 40 anni ed era malato, l’uomo i cui resti sono stati rinvenuti nella Casa del Fabbro, nella Regio I dell’antica Pompei. Non era solo al momento dell’eruzione: all’interno della stanza 9 c’erano due persone, un uomo e una donna, la cui posizione è “compatibile con la morte istantanea dovuta all’avvicinarsi della polvere di ceneri vulcaniche incandescenti”.
Entrambi i corpi sono stati esaminati dal team di scienziati, che è riuscito a fornire un’identità ai due, indicandone il sesso, l’altezza e l’età al momento della morte.
Si tratta di un uomo tra i 35 e i 40 anni e di una donna intorno ai 50 anni, per la quale non è stato possibile eseguire indagini genetiche approfondite. L’uomo invece mostra un eccezionale stato di conservazione, come altri corpi rinvenuti a Pompei. Ciò ha consentito ai ricercatori di identificare delle lesioni in una delle vertebre, compatibili con una malattia endemica in epoca romana imperiale chiamata spondilite tubercolare, o morbo di Pott.
È stato inoltre possibile ricostruire il profilo genetico dell’uomo, confrontandolo con quello di circa 1.500 individui eurasiatici vissuti in epoca antica e moderna: l’uomo mostra una forte somiglianza genetica con le popolazioni dell’Italia centrale, e alcuni tratti tipici degli abitanti della Sardegna.
Nonostante gli importanti rapporti intrattenuti con le popolazioni del Mediterraneo, si legge nello studio, l’ipotesi è che esistesse un “notevole grado di omogeneità genetica nella penisola italiana di allora”.
È il primo abitante di Pompei che conosciamo così da vicino: lo studio è la prova che è possibile estrarre DNA antico dai corpi delle vittime di Pompei, e apre la strada a una nuova generazione di ricerche sullo straordinario sito archeologico.
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