Nuova scoperta a Pompei: alcuni morirono per asfissia
Uno studio rivela che alcune vittime di Pompei morirono per asfissia: la scoperta da un’analisi ai raggi X applicata per la prima volta ai calchi
Terremoti, edifici che crollano, aria bollente, pioggia di pomici e flussi piroclastici: l’eruzione del Vesuvio dev’essere stata l’inferno sulla terra, ed è complicato risalire alla causa esatta della morte delle vittime del catastrofico evento che distrusse Pompei nel 79 d.C..
Un nuovo studio, appena pubblicato sulla rivista internazionale Plos One, rivela nuove informazioni in merito: alcune delle vittime dell’eruzione che devastò Pompei morirono per asfissia. Lo dimostrano i dati raccolti grazie a una tecnica di indagine ai raggi X che è stata applicata per la prima volta ad alcuni dei calchi pompeiani.
Pompei, alcuni morirono per asfissia: lo studio
Alcune delle vittime dell’eruzione che distrusse Pompei morirono per asfissia: lo dimostra uno studio interdisciplinare condotto dall’Università di Valencia e dall’Università di Cambridge in collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei.
Come si legge nella ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale Plos One, “gli studi sulle cause della morte delle vittime di Pompei sono ancora in corso”. Soltanto pochi mesi prima della pubblicazione di questo studio, il ritrovamento di alcuni resti ha reso possibile individuare i crolli come una delle cause di morte delle vittime dell’eruzione del Vesuvio.
La nuova ricerca aggiunge un ulteriore tassello alla ricostruzione della tragedia, e lo fa grazie a una tecnica che non era mai stata utilizzata sui calchi di Pompei. Lo studio è stato possibile grazie a “un’analisi chimica non invasiva con fluorescenza a raggi X, impiegata per la prima volta sui calchi per determinare la composizione chimica delle ossa all’interno del gesso”.
I preziosi calchi frutto dell’ingegno dell’archeologo italiano Giuseppe Fiorelli conservano infatti al loro interno resti ossei delle vittime, che possono essere ancora indagati, al pari degli scheletri delle vittime che continuano a emergere dagli scavi.
I ricercatori hanno esaminato sei calchi di fuggitivi da Porta Nola e un settimo calco della zona delle Terme Suburbane, che sono stati messi a confronto con altre ossa rinvenute nelle necropoli di Porta Nola a Pompei, nel Sepolcreto Ostiense a Roma e a Valencia.
“I calchi in gesso delle vittime dell’eruzione di Pompei potrebbero aver contaminato la composizione chimica delle loro ossa, ma le analisi bioarcheologiche consentono comunque di considerare l’asfissia come probabile causa di morte“, si legge nello studio.
Dai calchi di Pompei nuove scoperte ai raggi X e sul campo
La ricerca, proseguono i ricercatori, “fornisce importanti dati, che confrontati con i risultati antropologici e stratigrafici sono molto utili alla ricostruzione degli eventi perimortem e post-mortem che hanno coinvolto questi individui”.
La nuova scoperta dimostra ancora una volta l’incredibile valore dei calchi pompeiani: realizzati a partire dalla fine dell’Ottocento grazie all’intuizione di Fiorelli, i calchi hanno conservato resti scheletrici intrappolati nella colata di gesso. Come spiegano i ricercatori, si tratta di “resti che sono per la maggior parte umani, e che riescono a dare un’immagine viva e in movimento delle persone che vissero e morirono a Pompei, vittime dell’eruzione del 79 d.C.”.
La tecnica dei calchi è così preziosa che è stata riportata in vita, nel 2020, dall’allora direttore del Parco Archeologico Massimo Osanna: soltanto pochi giorni fa, grazie all’antico metodo della colata di gesso, è stata ricostruita la vita degli schiavi della villa di Civita Giuliana.
Quanto alle possibili cause di morte delle vittime dell’eruzione, sono state recentemente proposte diverse ipotesi, che vanno dalla disidratazione a una vera e propria evaporazione dei corpi.
Come spiega all’Ansa Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco archeologico di Pompei, “è difficile determinare con esattezza la causa di morte delle vittime dell’eruzione: tra calore, asfissia ed edifici crollanti, sappiamo che doveva essere un vero e proprio inferno”. “Il nuovo studio”, continua Zuchtriegel, “è importante perché ci aiuta a comprendere meglio la dinamica precisa nell’ultima fase della catastrofe”.
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