L'edificio capolavoro architettonico è in rovina, ma il plastico è esposto al MoMa di New York
Marchiondi di Milano: il capolavoro della corrente del Brutalismo, è in rovina, rifugio di sbandati e dimenticato da tutti
Una notevole varietà di stili architettonici di tutte le epoche, una grande ricchezza culturale e un’ottima rappresentazione del ventesimo secolo con innumerevoli esempi: sono queste le caratteristiche più interessanti che descrivono Milano. A livello architettonico le tendenze che nel corso degli anni si sono manifestate, sono spesso sparse e quasi nascoste negli angoli più impensabili della città Lombarda. Ne è l’esempio il quartiere periferico di Baggio, situato a nord ovest rispetto al centro, compreso nel cosiddetto “Municipio 7” dove si può ammirare uno dei più importanti esempi al mondo, secondo gli studiosi, di brutalismo, una nota corrente architettonica del novecento.
E’ indubbio che per la maggior parte dei milanesi il nome non significherà praticamente nulla, ma è importante sottolineare che in questo luogo risiede un’importante vestigia, ultima sede dell’istituto Marchiondi, meglio noto come “i corrigeni” di Milano, una antica istituzione impegnata nell’accompagnamento e nell’educazione dei ragazzi caratterialmente “difficili”.
L’istituto, che prese in un secondo momento il nome di Marchiondi Spagliardi, nacque nel XIX secolo e la sua finalità era quella di fornire un minimo di formazione scolastica e professionale ai minori e ai ragazzi provenienti da famiglie disagiate. Furono molti gli ospiti dell’istituto, tra cui il famoso pittore Segantini.
Nel civico 26 di Via Quadronno era collocata la sede originaria, in una zona che oggi è considerata elegante e residenziale: quello che restava dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale fu raso al suolo. Oggi quello che permane è solo una breve strada senza uscita che inizia da Piazza Cardinale Ferrari e il nome “Via Marchiondi” che costeggia a poca distanza un’ala dell’Ospedale Pini.
Una nuova sede per il “Marchiondi” venne stabilita nel 1952 e la realizzazione e la progettazione venne affidata al famoso architetto Vittoriano Viganò, allievo di Giò Ponti. Quest’ultimo si stava dedicando all’utilizzo e allo studio dei materiali poveri e ai rapporti tra gli spazi aperti e la città, concentrandosi sulla contrapposizione della cultura borghese per la realizzazione di un’estetica anti-elegante, non finita e quasi grezza: il brutalismo.
Secondo innovativi criteri Viganò concepì la nuova sede del “Marchiondi” in accordo con la dirigenza dell’istituto che nel frattempo, a differenza di istituti simili, si stava munendo di una equipe psicologica e pedagocica. La costruzione non prevedeva sbarre, anzi faceva degli spazi aperti il suo punto di forza e dovevano servire a favorire la socializzazione degli ospiti: l’obiettivo era quello di edificare una vera e propria scuola e non una prigione.
Il cemento a vista, nudo e non rifinito divenne protagonista e trovò impiego in larga misura: Viganò tentò di esaltarne le qualità e la capacità espressiva, secondo la tendenza del brutalismo che in quegli anni era di tendenza. L’espressione “brutalismo” deriva da “béton brut”, cemento armato che delinea la “Unitè d’Abitation” situata a Marsiglia, altra opera architettonica realizzata dal famoso architetto svizzero Le Corbusier. Secondo quest’ultimo non esiste una netta distinzione tra architettura e urbanistica, quindi, la singola unità abitativa rappresenta solo uno degli elementi che compongono l’intero quartiere.
Questa tendenza alla valorizzazione espressiva del cemento non rifinito, con le relative implicazioni etiche e simboliche, negli anni 50 del ‘900 divenne una vera corrente architettonica costituita dall’uso di materie prime a vista, capace di valorizzare e sottolineare la forza dei materiali utilizzati. Anche la famosissima e discussa Torre Velasca, situata in pieno centro a Milano, rappresenta un importante esempio di questa corrente. Tuttavia il vero capolavoro italiano, o perlomeno considerato come tale, è proprio l’edificio che venne inaugurato nel 1957: l’istituto Marchiondi. Giusto per capirne l’importanza dal punto di vista architettonico ed il valore di questo edificio, al museo di arte moderna di New York (MoMa), è stato esposto un plastico.
Dopo la sua chiusura, avvenuta nel 1970, la struttura non ha mai ricevuto la giusta riqualificazione, né tantoméno altra destinazione e nonostante nel corso degli anni si siano susseguiti numerosi progetti, allo stato attuale è pressoché un edificio fantasma ed è particolarmente noto per essere diventato il rifugio di sbandati e per le sue tristi condizioni di degrado.
Così, nella speranza di trovare improbabili fondi, idee e dignità per l’ex istituto, i milanesi potrebbero approfittarne per spingersi all’estrema periferia di Baggio, oltre l’Ospedale militare, in via Noale e ammirare un’opera dal grande valore architettonico riconosciuto a New York, ma per nulla recepito e valorizzato nella sua Milano.
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