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Italia campione mondiale di "fake english" per il Financial Times

Gli italiani non sono secondi a nessuno, quando si tratta di "fake english" - ovvero inventare parole in inglese: ecco l'analisi del Financial Times

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Fake english

Da “smart working” a “boomer”: gli italiani adorano inventare parole in inglese, o dare loro significati che si distanziano notevolmente da quelli originali. Si tratta di “fake english”, come spiega il Financial Times. Il prestigioso quotidiano britannico di economia e finanza cerca di spiegare la naturale propensione per i nostri connazionali ad introdurre, nei loro discorsi, dei termini stranieri a volte addirittura del tutto inesistenti nella lingua inglese. Da che cosa arriva questa bizzarra abitudine?

Il “fake english” degli italiani

Non si tratta certamente di una moda passeggera, visto che esempi di inglese “farlocco” affondano le radici diversi decenni fa. A ricordarcelo è Amy Kazim, che firma l’articolo del Financial Times sul “fake english” in Italia: già negli anni ’70, Adriano Celentano cantava il suo successo “Prisencolinensinainciusol”, inventando palesemente quello che, alle sue orecchie, doveva suonare il discorso fatto da un americano. Oggigiorno, questa è diventata una vera e propria abitudine che agli inglesi sembra a dir poco bizzarra. Siamo infatti soliti usare termini stranieri che, tuttavia, non hanno affatto il significato che diamo loro.

Tanti sono gli esempi, come “self-bar” o “autostop”: per noi sono parole scontate, di impiego quotidiano, ma non hanno alcun senso per un madrelingua inglese. Naturalmente, in tempi odierni il fenomeno si è diffuso ancora di più. Il “fake english” è di uso comune tra i più giovani, che infarciscono i loro discorsi di termini come “cringe” o “boomer” – per non parlare del linguaggio dei videogiochi, che è un mondo a parte. Ma le generazioni precedenti non sono immuni da quest’abitudine: basti pensare alle numerose parole inventate in ambito lavorativo, come “schedulare” (programmare) una riunione o “brieffare” (ragguagliare) i propri collaboratori su un determinato argomento.

L’opinione degli esperti

Da dove nasce il bisogno di inventare un inglese “farlocco” di cui ormai non riusciamo più a fare a meno? Il Financial Times riporta le parole della linguista Licia Corbolante, che individua l’origine di questo fenomeno negli anni ’40. “L’infatuazione degli italiani per l’inglese è iniziata durante la Seconda Guerra Mondiale, quando le truppe americane liberarono il Paese dai fascisti. Ma poiché le scuole enfatizzavano le lingue classiche con il latino e il greco antico, pochi in quelle generazioni svilupparono una conoscenza approfondita dell’inglese”.

E allora perché continuiamo ad usare questi termini inventati, e addirittura ne aggiungiamo sempre di nuovi? “Utilizzare l’inglese trasmette modernità, freschezza, progresso tecnologico e, in un certo senso, status”. Come abbiamo visto, il “fake english” ha ormai preso campo in praticamente ogni ambito: dai videogiochi all’economia, passando per il settore dei viaggi e quello della politica. Ma non tutti sembrano apprezzare. Addirittura, era stata proposta una legge per vietare l’uso dell’inglese nelle comunicazioni pubbliche, con multe sino a 100mila euro. L’obiettivo? Evitare il decadimento della nostra splendida lingua italiana.

Tuttavia, niente può frenare l’ondata di parole nuove che continuano ad entrare quotidianamente a far parte del nostro lessico. Men che meno una proposta di legge che, in effetti, ha trovato ben pochi sostenitori. D’altra parte, per la Corbolante è del tutto naturale: “L’italiano è una lingua vitale, prendiamo materiale estraneo e lo adattiamo alle nostre esigenze”.