Delitti italiani, il caso Carretta a Parma: sterminò la famiglia
Il caso Carretta, triplice omicidio avvenuto nell'agosto del 1989 quando un uomo uccise a colpi di pistola i genitori e il fratello minore a Parma
Il 4 agosto ricorre l’anniversario del caso Carretta, uno dei delitti più controversi del Novecento in Italia: era il 1989 quando Ferdinando Carretta uccise i propri genitori e il fratello minore nella casa di famiglia, situata a Parma, per poi riparare nel Regno Unito.
Il caso Caretta: triplice omicidio a Parma
Il giorno del delitto, a casa Carretta c’erano i genitori di Ferdinando, Giuseppe Carretta e Marta Chezzi, e il fratello minore Nicola. Si dice che in famiglia il clima non fosse idilliaco e che i litigi fossero all’ordine del giorno, anche per motivi banali.
In una situazione di tensione familiare, Ferdinando maturò la decisione di uccidere il padre e poi anche la madre e il fratello, in quanto testimoni: è successo il 4 agosto del 1989 con l’utilizzo di una pistola semiautomatica Walther 6.35 acquistata in un’armeria di Reggio Emilia.
In seguito Ferdinando nascose i corpi nel bagno e pulì minuziosamente la scena del crimine. All’indomani del triplice omicidio, Carretta si liberò dei cadaveri occultandoli nella discarica di Viarolo: i corpi non furono mai più ritrovati.
Compiuto il terribile atto, Ferdinando Carretta escogitò la sua fuga dall’Italia: falsificò le firme del padre e del fratello, incassando due assegni rispettivamente da cinque e da un milioni di lire. Prima di partire, guidò il camper di famiglia, un Fort Transit fino a un parcheggio di Milano, dove lo abbandonò per far credere a un allontanamento volontario dei suoi genitori.
A quel punto partì per il Regno Unito, dove ai servizi sociali si registrò con il nome di Antonio Ferdinando Carretta: si stabilì a Londra dove visse per diverso tempo conducendo una vita anonima, alternando lavori poco retribuiti alla riscossione dei sussidi di disoccupazione, il tutto nel più totale anonimato.
Il ruolo del programma “Chi l’ha visto?”
Nel caso Carretta ebbe un ruolo importante il programma tv “Chi l’ha visto?“: durante la trasmissione del 19 novembre 1989, dedicata alla sparizione di tutta la famiglia, ci fu la telefonata di una trasmissione che segnalò la presenza di un Ford Transit a Milano, in un parcheggio di viale Aretusa, nella zona dello stadio San Siro.
Grazie alla segnalazione, le forze dell’ordine si recarono sul posto dove era parcheggiato il mezzo: a prendere in carico le indagini fu la procura di Milano che le affidò a un ancora sconosciuto Antonio Di Pietro, magistrato che pochi anni dopo salì agli onori delle cronache per lo scandalo di Mani Pulite.
Le indagini durarono a lungo, visto che dei membri della famiglia Carretta non c’era traccia alcuna: a nove anni dall’omicidio, nel 1998, Ferdinando Carretta venne fermato per un controllo dalla polizia metropolitana di Londra mentre stava effettuando un servizio da pony express.
L’agente che raccolse le generalità si ricordò del nome, associandolo a un caso di scomparsa di persona in Italia e decise di segnalarlo subito a Scotland Yard: venne informata anche l’Interpol che avvisò le autorità italiane.
La confessione in tv
A quel punto Ferdinando non ebbe più scampo: il giudice Francesco Saverio Brancaccio, procuratore della Repubblica di Parma, raggiunse Londra per interrogarlo. Carretta inizialmente dichiarò di non vedere la famiglia dall’agosto 1989 e di essersi prestato a coprirne la fuga ai Caraibi in seguito a un ammanco di cassa presso la ditta del padre.
La confessione arrivò più tardi, nel corso di un’intervista rilasciata da Ferdinando Carretta a Giuseppe Rinaldi, di fronte alle telecamere di “Chi l’ha visto”: in quell’occasione ammise la responsabilità del triplice omicidio.
A precisa domanda su cosa fosse accaduto la notte del 4 agosto del 1989, Ferdinando Carretta rispose: “Ho impugnato quell’arma da fuoco e ho sparato ai miei genitori e a mio fratello”. I responsabili della trasmissione, a confessione avvenuta, allertarono immediatamente le autorità: Carretta venne arrestato e confermò la confessione fatta in tv al magistrato.
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