Lo smart working svuota Milano 2 volte a settimana: cosa succede
La possibilità di aderire allo smart working in molte aziende milanesi vede concentrate le giornate in ufficio ai primi tre giorni della settimana
Lo smart working, o meglio dire il lavoro da remoto, ha avuto un’impennata durante la pandemia di COVID-19. Da necessità, però, poi è diventato una delle trasformazioni più rilevanti nel mondo del lavoro, con impatti soprattutto sulla mobilità e la gestione del tempo. Milano sembra aver abbracciato questo fenomeno in modo significativo. Qui, anche dopo la fine della pandemia, la possibilità di lavorare da remoto per alcuni giorni la settimana è rimasta per molti. In questo scenario i dati mostrano che questa pratica sta cambiando le routine e il volto della città.
Lo smart working cambia Milano: cosa succede
Un rapporto di Assolombarda, basato su dati raccolti da Zucchetti (azienda leader in Italia per la fornitura di software, hardware e servizi) fotografa il mondo del lavoro da remoto a Milano e più generale nel nord Italia. Dalla ricerca realizzata e ripresa sulle pagine del ‘Corriere’ emerge che le giornate di giovedì e venerdì sono quelle in cui si concentrano maggiormente le richieste di smart working a Milano. Il venerdì, in particolare, rappresenta il 23,1% delle ore settimanali di lavoro a distanza, seguito dal giovedì con il 20%. In terza posizione il lunedì con il 19,1%.
La Città Metropolitana di Milano vede una quota di lavoratori in smart working pari in media al 16,7%. La percentuale è leggermente più alta (17,6%) nelle aziende situate nel Comune di Milano, mentre si abbassa un po’ (14,8%) nell’hinterland. È soprattutto il settore dei servizi quello dove si concentrano per la maggior parte i lavoratori da remoto dato che in questo ambito il lavoro a distanza è più facilmente implementabile e conciliabile. In questo settore, infatti, il 41% dei lavoratori opera almeno in parte da remoto, contro il 21% nell’industria.
Secondo uno studio del Politecnico di Milano, ripreso sempre dal ‘Corriere’ in Lombardia chi lavora da remoto rappresenta il 20% dei lavoratori nelle imprese fino a 25 dipendenti, il 13% in quelle da 26 a 100 dipendenti. Nelle aziende con oltre 100 dipendenti la percentuale sale al 28%. Con molti dipendenti che lavorano da casa uno o due giorni a settimana, si è così sviluppato un nuovo modello di pendolarismo: la settimana lavorativa e gli spostamenti si concentrano nei primi tre giorni. Questo fenomeno permette di risparmiare soprattutto nei costi dei trasporti. Dettaglio non trascurabile dato che soprattutto nella città meneghina negli ultimi tempi ci sono stati alcuni aumenti nei biglietti dei mezzi pubblici.
Lo scenario nel resto d’Italia e in Europa
Se Milano si distingue per la tendenza ad adottare lo smart working, nel resto d’Italia il quadro è diverso. Secondo dati Eurostat condivisi sempre dal ‘Corriere’, nel 2023 solo il 12% degli occupati italiani tra i 15 e i 64 anni lavora occasionalmente o abitualmente da casa. Un numero che tradotto è pari a circa 2,74 milioni di persone. Questo dato colloca l’Italia agli ultimi posti in Europa dove la media è del 22,2%.
Nel Nord Italia, e in particolare a Milano, l’elevata concentrazione di imprese nei servizi e l’alto costo degli uffici favoriscono il telelavoro. Al contrario, nel Sud e in molte aree del Centro, dove l’economia è spesso basata su settori come l’agricoltura e l’industria manifatturiera, questa modalità è meno applicabile.
Anche la generazione Z (under 27) è poco rappresentata nello lavoro da remoto: solo il 4% di giovani lavoratori ne usufruiscono. Ciò è dovuto sia al fatto che molti sono neoassunti e impegnati in attività che richiedono formazione sul campo, sia alla loro concentrazione in settori meno compatibili con il lavoro a distanza. Le donne, invece, sembrano aderire più frequentemente a questa modalità. Questo dato è compatibile con il fatto che su di loro pesa il maggiore carico di lavoro domestico e di cura.
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