I Savoia e il "tesoro" conteso: i gioielli restano allo Stato
Casa Savoia perde momentaneamente la battaglia giudiziaria per ritornare in possesso dei gioielli della Corona: ecco la sentenza del Tribunale di Roma
Casa Savoia perde, per il momento, la battaglia giudiziaria per ritornare in possesso dei gioielli della Corona: a stabilirlo è stato il Tribunale di Roma.
Savoia, i gioielli restano allo Stato Italiano
Come riferito dal ‘Corriere della Sera’, la bocciatura si fonda sulla legge simbolo della Casa Sabauda, lo Statuto Albertino promulgato il 4 marzo del 1848. Nelle quattro pagine di motivazioni della sentenza di legge che le gioie della Corona del Regno d’Italia sono di proprietà dello Stato fin dai tempi dello Statuto Albertino.
Tale condizione si è consolidata poi con la fine della monarchia e la nascita della Repubblica Italiana decretata dal referendum del 2 giugno 1946; il Tribunale ha rimarcato che “i gioielli della Corona sono rimasti di proprietà dello Stato nel passaggio alla Costituzione repubblicana”.
La dotazione della Corona è un “tesoro” composto da oltre 6.000 brillanti e 2.000 perle su collier, orecchini, diademi e spille. I vari preziosi sono custoditi all’interno di un cofanetto situato in un caveau della Banca d’Italia in via Nazionale a Roma, fin dal 5 giugno del 1946, quando vennero consegnati a Luigi Einaudi, allora Governatore dell’Istituto bancario, da parte del Ministro della Real Casa Falcone Lucifero, su incarico di Umberto II, l’ultimo Re d’Italia.
La Casa Reale, comunque, non intende alzare bandiera bianca dopo la sentenza del Tribunale: attraverso l’avvocato Sergio Orlandi è pronta a rilanciare, portando la loro battaglia davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, dove si chiederà di rientrare in possesso anche di tutti gli i beni appartenuti ai Savoia.
Il valore dei gioielli e le parole dei Savoia
Sull’effettivo valore dei gioielli della Casa Reale si dibatte da oltre settant’anni: secondo i criteri di Sotheby’s il contenuto del cofanetto potrebbe arrivare a valere fino a 300 milioni di euro, soprattutto per la presenza di preziosi appartenuti a regine e principesse. Esiste però un’altra stima che riduce sensibilmente la cifra a 18 milioni di euro. Una valutazione precisa può essere fatta solo dopo la riapertura del cofanetto rimasto chiuso da quando è entrato nel caveau della Banca d’Italia.
Nel marzo del 2025 c’è stato un botta e risposta tra due appartenenti alla famiglia Reale: da una parte Aimone di Savoia-Aosta, Duca di Savoia, dall’altra Emanuele Filiberto, figlio di Vittorio Emanuele e Marina Doria, riconosciuto da gran parte dei monarchici italiani come il capo di Casa Savoia, in disputa con il cugino Aimone.
In una dichiarazione rilasciata al ‘Corriere della Sera’, Aimone ha spiegato che la richiesta di restituzione del “tesoro” avanzata dagli eredi della Casa Reale non avrebbe senso. Per Aimone “il fatto stesso che Umberto II li abbia lasciati in disponibilità della Banca d’Italia dimostra che non li sentiva di sua proprietà”.
La risposta alle parole di Aimone è stata affidata a una nota ufficiale in cui si legge: “gli eredi di S.M. rimangono stupiti delle dichiarazioni rese da Aimone di Savoia. Occorre tenere presente che Aimone di Savoia-Aosta non è un discendente diretto di S.M. il Re d’Italia”. Nel comunicato viene precisato, inoltre, che quelli nel cofanetto “non sono gioielli della Corona ma personali che appartengono agli eredi di Umberto II e che non sono mai stati avocati/confiscati dallo Stato Italiano”.
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