Il destino del tesoro dei Savoia è ancora un giallo: nuova mossa
Il Tribunale di Roma ha stabilito che i gioielli del "tesoro" della Corona restano allo Stato italiano: la nuova mossa degli eredi di Casa Savoia
Continua a tenere banco la questione legata al “tesoro” della Corona dopo che il Tribunale di Roma ha deciso che i gioielli restano allo Stato: Casa Savoia prepara la nuova mossa.
Gioielli di Casa Savoia, ancora giallo: la nuova mossa
Emanuele Filiberto, erede della famiglia Savoia, già prima della sentenza del Tribunale di Roma aveva annunciato la volontà di rivolgersi alla Corta Europea per far valere le proprie ragioni. L’avvocato che agisce “a nome e per conto degli eredi di S.M. il Re d’Italia Umberto II” è stato incaricato da tempo di preparare i ricorsi necessari per risolvere una volta per tutte il contenzioso.
Come riferito dal ‘Corriere della Sera’, il legale sostiene che “il Tribunale sull’appartenenza dei gioielli ai Savoia non ha attribuito valore decisivo ai diari del Governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi, poi Presidente della Repubblica Italiana. Einaudi ha affermato che potrebbe ritenersi che le gioie spettino non al demanio dello Stato, ma alla famiglia reale”.
Gli eredi della Casa Reale aspettavano l’esito della sentenza del Tribunale e adesso ritengono opportuno aderire alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, affinché esamini e accolga tutte le richieste. La famiglia reale intende ricorrere anche “per la restituzione, da parte dello Stato Italiano, del valore di tutti gli immobili appartenuti alla famiglia Savoia”.
Alla morte di Vittorio Emanuele, avvenuta nel 2024, Emanuele Filiberto ha sostanzialmente ereditato gli immobili di Ginevra e Parigi con la villa di Cavallo e lo chalet di Gstaad, ma non quelli italiani.
La storia dei gioielli
Stefano Papi, esperto di gioielli e memoria storica del “tesoro” dei Savoia, aveva raccontato al ‘Corriere della Sera’ come i preziosi fossero arrivati a Bankitalia: “I gioielli vennero nascosti nella Manica lunga del Quirinale, tutto iniziò nel 1943, due giorni prima dell’8 settembre, quando Vittorio Emanuele III era pronto a fuggire a Pescara.
Il re convocò a Villa Savoia il conte Vitale Cao di San Marco e chiese a lui di metterli al sicuro, in sua assenza, nei caveau della Banca d’Italia. In realtà quando i tedeschi occuparono la Città Eterna, il conte capì che il sotterraneo risalente al Cinque-Seicento che collegava il ministero della Real Casa con la chiesa di Sant’Andrea del Quirinale poteva essere un nascondiglio più sicuro: è il cunicolo costruito per collegare palazzo Barberini al Quirinale. Così, in piena notte a lume di candela, con l’aiuto di un operaio fedele a casa Savoia, i gioielli furono murati in quel nascondiglio”.
Quando Umberto, figlio di Vittorio Emanuele II, tornò a Roma come Luogotenente del Regno, i gioielli della Corona tornarono in suo possesso: “Umberto fece smurare i preziosi che rientrarono così nella sua disponibilità. Fino a quel giugno del 1946: mentre si compie l’esito del referendum tra Monarchia e Repubblica, Umberto prima di partire per l’esilio il 13 giugno a bordo di un Savoia Marchetti, li affidò nuovamente al ministro della Real Casa, Falcone Lucifero che li consegnò all’allora governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi”.
Fu così che il destino dei gioielli si legò con le stanze di via Nazionale a Roma. I preziosi vennero affidati a Luigi Einaudi, poi Presidente della Repubblica, che con la frase “a chi di diritto” ha scatenato interrogativi aperti ancora oggi. Per Papi la frase “indicava semplicemente che trattandosi di gioielli della Corona, dovessero spettare a chi ne avesse in futuro avuto diritto in quanto sovrano d’Italia”.
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