I Savoia fanno causa allo Stato per il "tesoro" conteso
I Savoia hanno citato in giudizio in sede civile lo Stato italiano per la restituzione del tesoro custodito dal 1946 in un caveau della Banca d'Italia
La querelle tra Casa Savoia e lo Stato italiano in merito al “tesoro” custodito dal 1946 in un caveau della Banca d’Italia si arricchisce di nuovi elementi: l’ex casa regnante, infatti, come riportato dal ‘Corriere della Sera’, ha citato in giudizio in sede civile lo Stato per la restituzione delle “gioie di dotazione della Corona del Regno d’Italia”.
Savoia-Stato, la querelle finisce in Tribunale
La prima udienza è stata fissata per la giornata del 7 giugno 2022. Davanti al giudice, in rappresentanza della famiglia Savoia, siederanno gli eredi dell’ultimo re Umberto II, cioè il principe Vittorio Emanuele e le principesse Maria Beatrice, Maria Pia e Maria Gabriella. Le istituzioni citate in rappresentanza dello Stato, invece, sono Presidenza del Consiglio, ministero Economia Finanze e Banca d’Italia. Il giudice, che verrà individuato a breve, dovrà stabilire la fondatezza della richiesta dei Savoia, assistiti dall’avvocato Sergio Orlandi.
La rivendicazione dei Savoia si basa su un aspetto in particolare: i gioielli (6.732 brillanti e 2 mila perle) depositati dal 5 giugno 1946 in un caveau della Banca d’Italia, secondo quanto sostenuto dall’avvocato Sergio Orlandi, non sarebbero mai stati confiscati dallo Stato italiano.
Il 5 giugno 1946, il ministro della Real Casa Falcone Lucifero, incaricato da Umberto II di consegnare i gioielli, e l’allora governatore della Banca D’Italia (nonché futuro presidente della Repubblica) Luigi Einaudi, sottoscrissero un verbale di deposito, in cui si legge: “L’avvocato Lucifero dichiara di aver ricevuto incarico da Sua Maestà di affidare in custodia alla Banca d’Italia le gioie in dotazione della Corona del Regno d’Italia per essere tenute a disposizione di chi ne avrà diritto”. L’interpretazione di questo passaggio potrebbe risultare decisiva per il destino del “tesoro” attualmente custodito dalla Banca d’Italia.
I Savoia avevano affidato all’avvocato Sergio Orlandi l’incarico per una mediazione al fine di trovare un accordo sui gioielli, ma il tentativo non è andato a buon fine. Nel primo incontro di mediazione andato in scena lo scorso martedì 25 gennaio, infatti, Bankitalia ha affermato che la decisione spetta alle istituzioni della Repubblica.
Emanuele Filiberto aveva commentato questo episodio in occasione di un’intervista al ‘Corriere della Sera’. Queste le parole di Emanuele Filiberto: “Su questa battaglia la famiglia è molto unita, anche perché 75 anni dopo quel 1946 era tempo di venire allo scoperto per chiedere indietro quanto è di Casa Savoia. Non chiediamo indietro nulla agli italiani, solamente la restituzione di beni privati di famiglia. Come è stato restituito negli anni alle ex famiglie regnanti di Jugoslavia o Bulgaria, perfino agli eredi degli zar di Russia. Sono gioielli ricevuti come dono di nozze o acquistati dai Savoia oppure ancora ricevuti come donazione. Tant’è che la XIII disposizione transitoria finale che ha avocato allo stato altri beni di Casa Savoia non ne parla”.
Non solo: lo stesso Emanuele Filiberto aveva preannunciato in quell’occasione che la famiglia Savoia è pronta a portare avanti la battaglia per i gioielli “fino alla Corte Europea, se sarà necessario”.
Quanto vale il “tesoro” appartenuto ai Savoia
Il “tesoro” al centro della contesa, stando a quanto riferito dal ‘Corriere della Sera’, potrebbe aggirarsi attorno ai 300 milioni, anche se secondo Gianni Bulgari, che visionò i gioielli negli anni Sessanta, il valore non va oltre qualche milione. La valutazione, tramite una perizia, sarà uno dei temi sollevati dall’avvocato Orlandi che assiste la famiglia Savoia.
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