Pompei, lo studio Usa sui sopravvissuti all'eruzione
Ricerca USA svela dettagli inaspettati sull'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.: alcune persone sono sopravvissute alla catastrofe di Pompei ed Ercolano
L’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. non cancellò completamente la vita a Pompei ed Ercolano. Un recente studio condotto dallo storico e archeologo americano Steven L. Tuck, professore di studi classici presso l’Università di Miami, ha rivelato che almeno 200 persone sopravvissero a quella catastrofe. Questa ricerca, durata otto anni, ha svelato dettagli sorprendenti e offerto una nuova prospettiva sulla vita dopo l’eruzione.
Le prove della sopravvivenza
Steven L. Tuck ha condotto la sua ricerca concentrandosi su ciò che era scomparso dalle città sepolte, piuttosto che su ciò che era stato ritrovato. Ha notato che molte ‘casseforti’ erano state svuotate, i carri e i cavalli non erano più nelle stalle e non vi erano tracce delle barche.
Questi indizi indicano che alcuni abitanti riuscirono a fuggire prima del disastro. L’archeologo ha presentato le sue scoperte in un episodio del documentario ‘Pompeii: The New Dig’, prodotto dalla rete americana PBS, e in un articolo pubblicato su ‘The Conversation’.
Dopo otto anni di indagini, sono emerse prove che oltre 200 persone sono sopravvissute in 12 città diverse, principalmente situate a nord del Vesuvio, oltre i confini della zona di massima distruzione. I ricercatori hanno identificato il loro passaggio grazie a tracce lasciate su antiche strade, strutture come teatri e bagni, e iscrizioni tombali che riportano i nomi delle famiglie.
Per avvalorare la sua tesi, Tuck ha analizzato la diffusione di cognomi distintivi, come Aulus Umbricius, Popidius, Numerius e Caltilius, nelle aree vicine a Pompei ed Ercolano. Ha trovato tracce di questi nomi su lapidi e iscrizioni in dodici località circostanti, indicando che i sopravvissuti si insediarono nei dintorni.
La plausibilità dell’esistenza di sopravvissuti è elevata poiché l’eruzione avvenne in modo graduale anziché improvviso. Tuck ha chiarito che i lapilli iniziarono a cadere dal cielo, accumulandosi sui tetti delle abitazioni e causando crolli. Sebbene molti persero la vita a causa del cedimento dei soffitti, ci furono diverse ore a disposizione per fuggire. Questo tempo consentì a numerosi abitanti di organizzare una via di scampo, portando con sé beni di valore e mezzi di trasporto.
Una nuova luce sulla tragedia di Pompei
Tuck ha adottato un approccio basato su un’analisi dettagliata dei resti trovati, combinando reperti archeologici con documenti storici per identificare le famiglie che sopravvissero. La ricerca ha mostrato che molti sopravvissuti si stabilirono nelle vicinanze di Pompei, formando nuove comunità con altri scampati al disastro. Questa scelta fu guidata dalle reti sociali ed economiche delle loro città di origine, che fornirono un sostegno fondamentale per la loro ricostruzione.
Tuck ha studiato come i sopravvissuti riuscirono a ricostruire le loro vite dopo la distruzione. Le evidenze mostrano che essi mantennero una certa continuità culturale nonostante la tragedia, sfidando la percezione comune che l’eruzione avesse segnato la fine totale per gli abitanti di Pompei ed Ercolano.
Le sue scoperte forniscono nuove prospettive sulla risposta umana ai disastri naturali. La capacità dei sopravvissuti di riorganizzarsi e adattarsi in nuove comunità evidenzia la resilienza collettiva e la forza della natura umana nel superare le catastrofi.
La ricerca di Steven L. Tuck non solo mette in luce i sopravvissuti all’eruzione del Vesuvio, ma evidenzia anche l’importanza di andare oltre i reperti fisici per comprendere meglio le dinamiche umane durante eventi storici devastanti. Questo studio innovativo continua a incoraggiare ulteriori ricerche, rafforzando il collegamento tra archeologia e storia e offrendo una visione più completa della tragedia di Pompei.
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