Il caffè italiano è "il peggiore del mondo"?
Una ricerca prova a fare luce sulla qualità del caffè italiano, spiegando come siano cambiate le cose nel settore nostrano rispetto ad altre realtà
Il caffè italiano è considerato da molti come il migliore al mondo: è una delle tante eccellenze del nostro Paese apprezzate in ogni angolo del pianeta. La domanda, però, sorge spontanea: è davvero così oppure si tratta solamente di un luogo comune?
Il Gambero Rosso ha condotto un’inchiesta per scoprire cosa c’è effettivamente dentro le tazzine di caffè che ogni giorno vengono consumate su tutto il territorio italiano.
Dall’indagine emerge che il settore del caffè, in Italia, sta vivendo un periodo in cui sembra si faccia fatica ad aprirsi a nuove possibilità, mentre nel resto del mondo si sta andando avanti, cercando di percorrere strade alternative.
La qualità del caffè italiano
All’estero si parla molto di monorigini, fermentazioni in botte, estrazioni a freddo, degustazioni e coffee pairing, mentre l’Italia sembra piuttosto ferma. Negli ultimi anni sta cambiando lentamente anche la considerazione che gli stranieri hanno del caffè italiano.
Maurizio Giuli, Direttore Marketing e Comunications di Nuova Simonelli, produttore di macchine da caffè, ha parlato così di come il caffè italiano viene visto all’estero, partendo dalle differenze di prezzo rispetto agli anni passati:
“C’è un dato oggettivo, l’Italia è primo esportatore mondiale di caffè torrefatto per volumi – le parole di Giuli riportate dal Gambero Rosso – ma mentre prima la miscela italiana spuntava un prezzo medio di vendita superiore alla media, da un certo momento in poi ha perso questo vantaggio e anzi adesso il prezzo è sceso sotto la media”.
Con il prezzo che diminuisce, c’è il rischio che possa scendere anche la considerazione nei confronti del caffè italiano, candidato a patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Andrej Godina, uno dei maggiori esperti italiani di caffè, ha espresso pessimismo riguardo i caffè del nostro Paese:
“In genere il bar italiano offre un caffè espresso mediocre e indifferenziato – ha spiegato Godina – molto simile per gusto e spesso con evidenti difetti di materia prima e/o di estrazione, tanto è vero che il clienti sente la necessità di edulcorarlo con i dolcificanti o di macchiarlo con il latte perché al naturale è troppo amaro e astringente, con aromi a volte spiacevoli”.
Secondo Godina, altri gesti come bere il bicchiere d’acqua dopo il caffè al bar o mangiare un biscottino o un cioccolatino “rivelano l’inconscia repulsione per il retrogusto scadente dell’espresso e il desiderio di cancellarlo e di sostituirlo con qualcosa di più piacevole”.
Caffè al bar: pregi e difetti
Davide Colbelli, torrefattore e coordinatore SCA – Specialty Coffee Association Italy, un’organizzazione internazionale dedita allo sviluppo e alla promozione del caffè sostenibile e di qualità, ha parlato così della qualità del caffè consumato al bar:
“Il caffè considerato buono dagli italiani è in realtà quello cattivo, con la schiuma, amaro, bruciato, questo perché i torrefattori dovevano far passare un difetto del loro caffè per una qualità”.
Alla luce di quanto affermato dagli esperti del settore, la considerazione sulla qualità del caffè italiano cambia, anche se non è possibile affermare sia il peggiore al mondo. Il settore è rimasto fermo a qualche anno fa e si fatica a cambiare strada per alzare il tasso qualitativo, anche se non tutto è perduto: il caffè gourmet, detto speciality, è una realtà esistente che al momento copre in Italia lo 0,3% del totale, contro una media globale del 10%.
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