Il crollo della pesca a Venezia è dovuto alle noci di mare
Un recente studio ha svelato che il crollo della pesca artigianale nella laguna di Venezia non è dovuto alle noci di mare più che al granchio blu
Il crollo della pesca artigianale nella laguna di Venezia non è dovuto solo alla presenza del granchio blu, ma anche a quella di un’altra specie aliena: la noce di mare. A scoprirlo sono stati alcuni ricercatori che hanno pubblicato uno studio sull’autorevole rivista specializzata ‘Hydrobiologia’.
I risultati dello studio
La crisi della pesca nella zona della laguna di Venezia era stata attribuita quasi esclusivamente al granchio blu risvegliato dal caldo in Veneto: questa specie ha sicuramente contribuito al crollo, ma ancor di più lo ha fatto la noce di mare, come evidenziato da un recente studio. Della scoperta ha parlato Filippo Picardi, primo autore della ricerca e dottorando all’Università di Padova, eletta una delle migliori università d’Europa:
“Lo studio è il primo esempio di quantificazione dell’impatto che una specie invasiva ha avuto e sta purtroppo tuttora avendo sulla piccola pesca lagunare – le parole di Filippo Picardi riportate dal ‘Corriere della Sera’ – non c’è solo il granchio blu e il rischio di queste invasioni biologiche è quello della perdita totale di una tradizione di pesca lagunare quasi millenaria che utilizza attrezzi estremamente sostenibili”.
Picardi ha ricordato che il progetto è nato “dalla collaborazione fra i ricercatori della sede di Chioggia dell’Università di Padova e i pescatori lagunari. La modellazione statistica ha chiarito come l’esplosione delle noci di mare nel 2014 coincida con un aumento significativo della temperatura delle acque lagunari”.
Il coordinatore della ricerca, Alberto Barausse, ha spiegato che le specie invasive come la noce di mare e il granchio blu rappresentano “una tragedia ambientale e sociale che va affrontata, cercando strategie di mitigazione e adattamento che siano sostenibili”.
Le noci di mare e il crollo della pesca nella laguna di Venezia
Il nome scientifico della noce di mare è Mnemiopsis leidyi: questa specie aliena appartiene al phylum degli ctenofori, organismi marini grandi mediamente dieci centimetri che somigliano a piccole meduse anche se con queste ultime, appartenenti al phylum degli Cnidari, hanno solo una parentela. Al pari delle meduse sono piccole e gelatinose: vanno a intasare le reti da pesca dei piccoli pescatori tradizionali della laguna, mettendo in crisi l’intero settore.
La Mnemiopsis leidyi è originaria dell’Atlantico ma come successo per altre specie aliene, attraverso l’acqua di zavorra delle navi cisterna è riuscita a introdursi nel mar Nero, dove è stata osservata a partire dagli anni Ottanta. Un decennio dopo è arrivata anche nel mar Caspio, per poi raggiungere anche il mar Egeo e riuscire a colonizzare l’intero mar Mediterraneo.
In Italia le noci di mare sono state segnalate in maniera sporadica nel 2005 e poi stabilmente dal 2016 nell’Adriatico settentrionale, mentre risalgono al 2011, invece, le prime segnalazioni nel Tirreno. Questi organismi vivono in acque poco profonde ed eutrofizzate: sono molto tolleranti ai cambiamenti climatici e quindi molto resistenti.
Il successo ecologico della Mnemiopsis leidyi è dovuto principalmente alla sua straordinaria capacità di utilizzare le proprie ciglia per generare una corrente che trascina grandi volumi d’acqua, senza che le sue prede possano notarlo. La propensione alla predazione furtiva fa della noce di mare un predatore molto efficace: è in grado di catturare una vasta gamma di prede microplantoniche e di larve di pesci. Le noci di mare sono predatori molto efficaci e per questo motivo sono considerate tra le specie distruttive più invadenti.
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