Terremoti nell'Appennino: scoperta correlazione tra scosse e CO2
Uno studio condotto da INGV e Università di Perugia ha svelato l'esistenza di una correlazione tra i terremoti nell'Appennino e l'anidride carbonica
Ci sarebbe un legame tra i terremoti che scuotono l’Appennino e la presenza di anidride carbonica nelle falde. Dai campionamenti effettuati negli ultimi dieci anni, infatti, è emerso che la CO2 raggiunge il suo livello massimo di concentrazione in occasione di intensa attività sismica. La scoperta, firmata Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e Università di Perugia, è stata pubblicata sulla rivista ‘Science Advances’.
Giovanni Chiodini, ricercatore dell’INGV e coordinatore dello studio, ha spiegato: “Per la prima volta è stata condotta un’analisi dei dati geochimici e geofisici raccolti dal 2009 al 2018. Gli esiti di questa ricerca hanno evidenziato una corrispondenza tra le emissioni di CO2 profonda e la sismicità mostrando come, in periodi di elevata attività sismica, si registrino picchi nel flusso di CO2 profonda che, man mano, diminuiscono al diminuire dell’energia sismica e del numero di terremoti”.
Dall’INGV hanno spiegato che la Terra rilascia CO2 di origine profonda prevalentemente dai vulcani. Tuttavia, queste emissioni avvengono anche in aree sismiche in cui non sono presenti vulcani attivi. In particolare, questo fenomeno risulta più intenso nelle regioni caratterizzate da tettonica estensionale, come, appunto, l’area degli Appennini.
Ancora Chiodini: “Per quanto le relazioni temporali tra il verificarsi di un evento sismico e il rilascio di CO2 siano ancora da studiare, in questo studio ipotizziamo che l’evoluzione della sismicità nella zona appenninica sia modulata dalla risalita di CO2 accumulata in serbatoi crostali e derivata dalla fusione di porzioni di placca che si immergono nel mantello”.
Questa produzione continua di CO2 in profondità e su larga scala favorisce la formazione di serbatoi sovrapressurizzati. I ricercatori dell’INGV Francesca Di Luccio e Guido Ventura, co-autori dello studio, hanno sottolineato che “la sismicità nelle catene montuose potrebbe essere correlata alla depressurizzazione di questi serbatoi e al conseguente rilascio di fluidi che, a loro volta, attivano le faglie responsabili dei terremoti”.
Lo studio è stato condotto attraverso il campionamento di sorgenti ad alta portata (decine di migliaia di litri al secondo) situate nelle vicinanze delle zone epicentrali dei terremoti che si sono verificati in Italia centrale tra il 2009 e il 2018.
Carlo Cardellini, ricercatore del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia, anche lui nella squadra di ricercatori coinvolti nella scoperta, ha dichiarato: “Tali campionamenti hanno permesso di caratterizzare l’origine della CO2 disciolta nell’acqua delle falde acquifere e di quantificare l’entità della CO2 profonda”.
Chiodini ha concluso: “La stretta relazione tra il rilascio di CO2 e l’entità dei terremoti, unitamente ai risultati di precedenti indagini sismologiche, indica che i terremoti dell’Appennino registrati nel decennio analizzato sono associati alla risalita di CO2 profonda. È interessante rimarcare il fatto che le quantità di CO2 coinvolte sono dello stesso ordine di quelle emesse durante le eruzioni vulcaniche (circa 1,8 milioni di tonnellate)”.
I risultati dello studio condotto da INGV e Università di Perugia, tra le migliori 500 al mondo secondo l’Arwu, hanno evidenziato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, forniscono evidenze su come i fluidi derivati dalla fusione di placca nel mantello svolgano un ruolo importante nella genesi dei terremoti, aprendo così nuovi orizzonti nella valutazione delle emissioni di anidride carbonica su scala globale.
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