I cloni di Nerone, l’imperatore romano accusato dell’incendio della città
Uno degli imperatori meno amati della storia, ma, nonostante questo, copie di Nerone cominciarono a circolare nell’impero anche dopo la sua morte.
Chi lo riteneva folle, chi invece affamato di potere, la figura di Lucio Domizio Enobarbo Nerone è da sempre tra le più affascinanti e controverse della storia romana. Morto suicida il 9 giugno del 68 d.C. dopo la sua deposizione voluta da Servio Sulpicio Galba e dal Senato, il suo nome venne colpito dalla damnatio memoriae, la cancellazione di qualsiasi traccia che lo riguardava, come se non fosse mai esistito. Nonostante tutto, la morte di Nerone fu pianta da molti tanto da credere che non fosse avvenuta realmente. L’idea che non fosse passato a miglior vita, ma che fosse nascosto da qualche parte iniziò a circolare per Roma, tanto da portare alla comparsa di “cloni”, persone che si fingevano Nerone per ottenere benefici.
Tacito racconta che nel 69 d. C. comparve un sosia dell’imperatore defunto nella provincia d’Asia. Questi, sfruttando la sua somiglianza con Nerone, riunì sotto di se numerosi disertori con l’obiettivo di partire via mare alla volta di Roma. Un naufragio lo costrinse ad approdare sull’isola di Citno nelle Cicladi. Qui, insieme a un gruppo dei legionari, cercò di convincere le autorità di essere il vero Nerone in viaggio per l’Egitto. La notizia raggiunse Servio Sulpicio Galba, l’allora imperatore romano, che, assecondando l’imbroglione, lo fece imbarcare su una nave per portarlo in Egitto, ma durante il viaggio fu ucciso e il suo corpo inviato nella capitale.
Questo fu uno dei tanti che si finsero Nerone. A detta dello storico Dione Cassio, ne comparve un altro sotto l’impero di Tito, che riuscì a radunare un vero e proprio piccolo esercito con il quale voleva destituire l’imperatore. L’errore che lo portò alla morte fu chiedere ad Artabano, re dei Parti, una ricompensa per la restituzione dell’Armenia. I parti, infatti, lo uccisero. La leggenda che voleva Nerone ancora vivo, non si placò nemmeno con il passare dei secoli. Ancora all’epoca di S. Agostino si parlava di Nero redivivus.
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