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Galileo e il giallo della sua sepoltura "a pezzi"

Alcune dita, un dente e una vertebra dello scienziato condannato dalla Chiesa vengono conservate, come reliquie laiche, nel museo Galileo

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Il mondo delle reliquie degne di venerazione non è costellato solo da cimeli provenienti dalle sfere del sacro. Esistono anche spoglie e frammenti laici, come quelle di Galileo Galilei che nei secoli hanno attratto desideri, manie e storie inquietanti.

Agli inizi del 1642 lo scienziato dell’abiura esalò l’ultimo respiro. Il corpo del genio pisano era in procinto di essere sepolto presso la chiesa di Santa Croce a Firenze, ma i problemi dell’autore de “il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” con il santo Uffizio, che lo aveva etichettato come un personaggio in odore di eresia, costrinsero il Granduca di Toscana a optare per una sepoltura più umile e anonima, in una semplice bara posizionata di fianco alla cappella dei novizi.

Il riposo dell’astronomo dalla mente colma di genio e spirito d’osservazione in questo luogo durò meno di un secolo, dopo decenni il sospetto nei confronti di Galileo si era ormai affievolito e a Firenze si decise finalmente di spostare i suoi resti nella Basilica, accanto al discepolo Vincenzo Viviani, suo allievo prediletto. L’operazione avvenne nel 1737, con la totale assenza di esponenti della Chiesa, che percepivano ancora come una minaccia il potente messaggio del grande scienziato, ma alla presenza di alcune persone che avevano in mente di privare il corpo del genio di alcuni suoi pezzi, un’attenzione solitamente riservata a santi e beati, ma che non ha risparmiato, evidentemente, anche personalità eminenti.

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Armato di coltello, lo storico delle scienze Giovanni Targioni Tozzetti, alla presenza di Anton Francesco Gori (esperto di antichità), Vincenzo Capponi (provveditore dell’Accademia Fiorentina) e Antonio Cocchi (primo Massone della Toscana), prelevò dalla mano destra di Galileo tre dita: il pollice, l’indice e il medio e inoltre anche una vertebra e uno denti. La vertebra finì presso l’università di Padova, mentre il dente di Galileo prese posto presso il museo a lui dedicato.

Le tre dita dello scienziato vennero acquistate con ogni probabilità da Capponi e di loro rimase traccia fino agli inizi del Novecento. Cosa sia stato delle importanti reliquie laiche fino agli inizi del Duemila non è dato saperlo, certo è che nel 2009 le dita vennero acquistate da Antonio Bruschi presso un reliquiario custodito nella casa d’aste Pandolfini di Firenze. Dell’importanza dell’acquisto ci si rese conto solo dopo una minuziosa analisi della teca contenente i resti: le iscrizioni che rimandano al celebre scienziato e la presenza di dita umane attrassero l’attenzione di alcuni esperti del settore come la dottoressa Cristina Acidini e il professor Paolo Galluzzi direttore del museo Galileo. Dopo una precisa analisi ogni dubbio fu sedato e venne accertata l’appartenenza dei resti all’astronomo pisano.