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In Italia ci sono (almeno) 3 mila tesori abbandonati da salvare

Secondo il Ministero in Italia ci sono quasi 3mila beni storici che risultano da tempo abbandonati e che necessitano di interventi di restauro

Pubblicato:

Martina Bressan

Martina Bressan

SEO copywriter e Web Content Editor

Appassionata di viaggi, di trail running e di yoga, ama scoprire nuovi posti e nuove culture. Curiosa, determinata e intraprendente adora leggere ma soprattutto scrivere.

Beni abbandonati Italia

L’Italia vanta uno dei patrimoni storici e archeologici più vasti e affascinanti al mondo. Dai castelli medievali ai monasteri, dalle dimore storiche ai borghi antichi, il nostro Paese custodisce migliaia di beni culturali che attendono di essere recuperati e valorizzati. Molti di questi luoghi, però, versano in stato di abbandono e il loro recupero richiede investimenti significativi. Un recente censimento del Ministero della Cultura ha registrato i siti storici che risultano abbandonati e sono, quindi, tesori da salvare.

I tesori italiani abbandonati da salvare

Il Ministero della Cultura, attraverso la Direzione generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, ha avviato un censimento per mappare i beni culturali abbandonati in Italia. Secondo questo censimento parziale ben 2.918 edifici storici risultano inutilizzati e necessitano di interventi di restauro. Questi siti sono disseminati lungo tutta la Penisola e rappresentano un’importante testimonianza storica e artistica. A questi si aggiungono anche i numerosi beni confiscati alle mafie, un ulteriore patrimonio che potrebbe essere riqualificato e restituito alle comunità locali. Tra i beni più rappresentati nella mappatura si trovano castelli, conventi, monasteri, abbazie, chiesette, antiche prigioni e cimiteri.

Molti di questi luoghi sono di proprietà pubblica, ma ci sono anche diversi immobili privati o a proprietà mista. Sul sito del Ministero della Cultura sono disponibili informazioni dettagliate su questi tesori dimenticati, con foto, storia e stato. Inoltre, nel sito è scritto che “la ricognizione è in continuo aggiornamento ed evoluzione”, i beni mappati, quindi, sembrano destinati ad aumentare. Come già accennato, oltre a questi beni storici, ci sono anche 42.419 beni confiscati alle mafie, di cui 22.548 già destinati a nuovi usi, mentre 19.871 aspettano ancora di essere assegnati. L’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata sta lavorando per comprendere meglio il loro stato di conservazione.

In questo contesto, si collocano iniziative come quelle promosse dalla Fondazione con il Sud che stanno cercando di offrire una nuova vita a questi luoghi, oppure le giornate del FAI. Un altro esempio virtuoso è quello realizzato a Napoli vicino alla Stazione con il progetto “La bella piazza”. In questo caso è stato restituito alla città un’area di aggregazione e uno spazio culturale che giova anche alla comunità locale.

Le parole degli esperti: la sfida della valorizzazione

Francesco Izzo, docente all’Università Federico II di Napoli, esperto di imprenditorialità sociale, ha sottolineato l’importanza di un approccio innovativo nella gestione di questi beni. Le parole di Izzo sull’argomento sono state riprese dal ‘Corriere della Sera’: “Un bene abbandonato è un bene che è stato sottratto a una comunità. Nella maggior parte dei casi, sono luoghi con un forte valore simbolico e identitario”. Un esempio positivo di recupero è stata, ad esempio l’Ex manifattura tabacchi a Firenze. I luoghi che un tempo erano riservati alla produzione sono stati riconvertiti in spazi alla cittadinanza utili per eventi, laboratori e corsi di formazione. Inoltre, sono stati realizzati spazi per il settore artigianale e industriale.

Particolarmente importante è poi il potenziale di alcune zone più interne e isolate che sono spesso dimenticate ma ricche di storia. Negli ultimi anni, grazie all’intervento di fondazioni e associazioni, alcuni enti locali sono stati affiancati nel processo di recupero di questi luoghi. Per un vero rilancio, però, spiega il professor Izzo servono risorse e progetti mirati che possono prevedere anche un ruolo attivo di istituzioni, enti privati e cittadini.