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Chi partirebbe come soldato in Italia in caso di guerra

Chi partirebbe come soldato in Italia in caso di guerra: quali sono gli scenari ipotizzabili qualora dovesse verificarsi una chiamata alle armi

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Silvio Frantellizzi

Silvio Frantellizzi

Giornalista

Giornalista pubblicista. Da oltre dieci anni si occupa di informazione sul web, scrivendo di sport, attualità, cronaca, motori, spettacolo e videogame.

Un militare

Negli ultimi anni lo scenario geopolitico internazionale è diventato meno stabile di un tempo, soprattutto alla luce del conflitto tra la Russia e l’Ucraina e della crisi in Medio Oriente.

In molti hanno iniziato a pensare a cosa succederebbe se l’Italia dovesse entrare in guerra, ragionando ovviamente per ipotesi. E una delle domande più gettonate è la seguente: chi partirebbe come soldato?

Chi partirebbe soldato in Italia in caso di guerra

La legge sancisce che in caso di mancanza di personale facente parte delle Forze Armate, per prima cosa si andrebbe ad attingere dai veterani recenti: si tratta dei volontari che hanno cessato la loro carriera militare da non più di cinque anni.

Qualora gli appartenenti alle Forze Armate, quindi l’Esercito, la Marina Militare, l’Aeronautica Militare, i Carabinieri e la Guardia di Finanza, e coloro i quali hanno terminato il servizio da meno di cinque anni, non dovessero bastare, in caso di intervento potrebbero essere chiamati anche i civile.

Alla chiamata alle armi dovrebbero rispondere tutti i cittadini italiani maschi compresi nella fascia d’età che va dal compimento del 18esimo anno fino ai 45 anni. Dopo la chiamata alle armi, i cittadini dovrebbero sottoporsi ad alcune visite: con il risultato di idoneo sarebbero arruolabili, se giudicati rivedibili sarebbero temporaneamente inabili e da sottoporre a una nuova visita, e se riformati verrebbero giudicati non idonei al servizio militare.

La chiamata alle armi è obbligatoria e non può essere rifiutata per legge. L’articolo 52 della Costituzione, infatti, sancisce che “il servizio militare è obbligatorio nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge”. L’eventuale rifiuto della chiamata alle armi viene considerato come reato. Evitare la chiamata alle armi è possibile solo per gravi motivi di salute che impediscono la partecipazione attiva alle operazioni militari o, in caso di donne, se la chiamata avvenisse durante lo stato di gravidanza.

L’eventuale chiamata alle armi avverrebbe, comunque, in caso di una crisi temporanea e limitata e si andrebbe ad accingere alla popolazione civile solo qualora non dovessero bastare gli appartenenti alle Forze Armate.

La questione legata alla leva obbligatoria

Da qualche anno a questa parte, inoltre, in molti sono tornati a parlare della questione legata alla leva obbligatoria e alla possibilità che l’Italia possa introdurre di nuovo il servizio militare.

La leva obbligatoria è rimasta in regime operativo in Italia fino al 2005 e all’entrata in vigore della legge Martino. La norma fissava la sospensione delle chiamate per lo svolgimento del servizio di leva a decorrere dall’1 gennaio 2005, disponendo comunque la chiamata al servizio, fino al 31 dicembre 2004, per tutti i soggetti nati entro il 1985 incluso, tranne nel caso di coloro che avessero presentato domanda di rinvio per motivi di studio.

La difesa della Patria, come recita l’articolo 52 della Costituzione, è “sacro dovere di ogni cittadino”: così come la leva militare venne sospesa per legge, oggi potrebbe essere riattivata ma solamente tramite un analogo provvedimento legislativo.

Nel caso della reintroduzione della leva, sarà necessario determinare per legge eventuali categorie da escludere. Per citare un esempio recente, in Ucraina tutti sono chiamati alle armi, fatta eccezione per gli appartenente alle fasce della popolazione più giovani e alcune professioni necessarie alla vita sociale ed economica del Paese, come quelle impegnate nella produzione industriale, nell’istruzione e nelle infrastrutture.