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Al Sud gli stipendi più alti d'Italia

Secondo i dati Ocse, valutando anche il costo della vita, i lavoratori sotto contratto del Sud percepiscono i salari più alti del Paese

Gli stipendi elargiti al Sud sono i più alti d’Italia. Il sorprendente studio effettuato da Andrea Garnero, economista Ocse, sembrerebbe sgretolare, con dati alla mano, decenni di luoghi comuni che hanno sempre demonizzato l’economia del meridione.

Secondo i dati emersi dallo studio, da Napoli a Lampedusa la retribuzione oraria oscilla tra i 9,6 e i 10,1 euro. Man mano che si sale nella Penisola, questa cifra tende a diminuire, passando ai 9,4 euro delle regioni centrali di Lazio, Abruzzo e Marche fino a crollare al Nord dove si percepiscono 8,9 euro all’ora. È tra la Lombardia e il Veneto che si registra il calo più netto. Il motivo di tale disparità, che disegna una cartina economica d’Italia decisamente stravolta rispetto al credere comune, è presto spiegata: lo studio tiene conto anche del costo della vita, calcolando il rapporto che c’è tra quanto ricco è lo stipendio e quanto si spende per vivere, tra affitto, mutuo della casa, spese alimentari e bollette varie.

Il risultato, quindi, conferma che vivere al Sud è molto più conveniente, grazie ai costi relativamente bassi che premono sulle famiglie nel meridione. Un dato che potrebbe radicalmente mutare i flussi migratori che hanno visto da sempre giovani del Sud spostarsi nelle ricche regioni settentrionali, se a metterci lo zampino non ci fosse quell’endemica disoccupazione che svilisce gli slanci imprenditoriali e strozza sul nascere le offerte di lavoro.
Insomma, se al Sud ci fosse maggiore diffusione di lavoro e il costo della vita rimanesse così com’è ora, le Regioni meridionali diverrebbero un vero e proprio paese di Bengodi.

Lo studio dell’economista Garnero, denominato sarcasticamente “il cane che non abbaia non morde” si è basato su tre fonti: rilevazioni sulle forze di lavoro Istat, dichiarazioni dei datori di lavoro relative al 2010 e dati Inps afferenti al pagamento dei contributi.
Gli altri dati oggetto dello studio non premiano il nostro Paese, confermando il momento di difficoltà ampiamente percepito dalla popolazione. È stato accertato che 1 italiano su 10 percepisce uno stipendio ben al di sotto del minimo contrattuale, cifre al ribasso che arrivano a toccare anche il 20% in meno rispetto ai limiti dei contratti nazionali.

Ad essere particolarmente penalizzati sono i lavoratori che si dedicano al mondo dell’agricoltura. Risulta, infatti, che almeno il 31,6% dei contadini e allevatori non arrivi a toccare lo stipendio minimo. Segue a poca distanza tutto il mondo del lavoro legato alla cultura e allo sport: il 30,9% di chi ha una professione in questo universo lavorativo non percepisce uno stipendio in linea con i minimi nazionali. Al terzo posto di questa triste classifica si piazzano i lavoratori che si occupano di ristorazione e del ramo alberghiero. Almeno 20 tra camerieri, cuochi, facchini e portieri su 100, percepisce uno stipendio più basso della media.

Dati che confermano come le parole che si spendono in difesa dei contratti nazionali vengano poi nei fatti ampiamente disattese. La maggior parte di queste oscillazioni al ribasso vengono percepite dai dipendenti delle piccole imprese, dalle donne, dai lavoratori con contratto a termine e in generale da tutti i lavoratori del Sud.