Delitti italiani: l'omicidio di Alberica Filo della Torre
La storia del delitto dell'Olgiata: l'omicidio della contessa Alberica Filo della Torre, uno dei casi di cronaca nera più controversi d'Italia
Il delitto dell’Olgiata è uno dei casi di cronaca nera più controversi mai avvenuti in Italia ed è rimasto irrisolto per vent’anni, dopo aver riempito pagine e pagine di giornali.
Alberica Filo della Torre: il delitto dell’Olgiata
Risale al 10 luglio del 1991 la morte della contessa Alberica Filo della Torre, ritrovata senza vita in una calda giornata d’estate in una villa dell’Olgiata, zona situata a Nord di Roma. La donna, figlia del contrammiraglio Ettore Filo della Torre e di Anna del Pezzo di Cajanello, apparteneva alla buona società capitolina ed era impegnata a livello sociale con diverse opere di beneficenza.
Il prima matrimonio di Alberica Filo della Torre con Alfonso de Liguori dei principi di Presicce venne dichiarato nullo dalla sacra rota: successivamente convolò a nozze con l’imprenditore Pietro Mattei, con il quale ebbe due figli, Manfredi e Domitilla.
Il marito si trovava a lavoro durante la mattina del delitto, quando nella villa dell’Olgiata erano presenti i due figli, due domestiche filippine, la babysitter inglese e quattro operai che stavano adibendo l’abitazione per la festa d’anniversario di nozze dei coniugi Mattei che era prevista per la sera stessa.
I figli di Alberica Filo della Torre bussarono più volte alla porta della camera da letto della mamma, senza trovare mai risposta: verso le 10.30 del mattino, la domestica Violeta Alpaga trovò una seconda chiave della stanza ed entrò insieme alla figlia della contessa, Domitilla, trovando la donna senza vita.
Il corpo era rivolto a terra con le braccia aperte in una posizione di resa, mentre la testa era avvolta in un lenzuolo insanguinato. Furono avvertite immediatamente le forze dell’ordine e i primi ad arrivare furono i carabinieri circoscrizionali, seguiti in rapida successione da quelli appartenenti al nucleo operativo.
Si misero all’opera gli investigatori che accertarono come la donne fosse stata prima tramortita con un colpo da corpo contundente e poi uccisa tramite strozzamento: dalla stanza risulteranno mancare anche numerosi gioielli trafugati dallo stesso assassino. Gli inquirenti batterono la pista del delitto passionale, ipotesi abbandonata nel giro di poche ore per sposare la tesi del movente della rapina.
Analizzando le prove e ragionando sugli avvenimenti, gli inquirenti si trovano di fronte a elementi a dir poco contraddittori, a cominciare dal fatto che un ladro, nella maggior parte dei casi, avrebbe aspettato la sera per colpire, quando il rischio di essere sorpreso sarebbe stato minore rispetto al mattino.
Le indagini complicate e la svolta
Gli investigatori ebbero dubbi anche su un’altra questione: è vero che essere beccati in flagrante può portare a diverse reazioni, ma difficilmente un ladro si trasforma in un assassino di tale violenza. Le indagini furono estremamente complicate: uno dei principali sospettati fu Manuel Winston Reyes, cameriere filippino licenziato poco tempo prima dell’omicidio, ma venne scagionato dalle analisi del DNA e nell’autunno del 1991 il pubblico ministero sospese le indagini.
Negli anni successivi il caso dell’omicidio avvenuto a Roma venne riaperto e chiuso in varie occasioni, fino alla svolta del 2007, quando Pietro Mattei, vedovo della donna, presentò un’istanza per chiedere ulteriori analisi del DNA alla luce delle nuove tecniche investigative su tutti i reperti e in modo particolare sul lenzuolo che venne utilizzato per avvolgere il capo della vittima, e sull’orologio della contessa.
Le nuove analisi non portarono ad alcun risultato, ma un anno dopo gli agenti del RIS trovarono tracce di Manuel Winston Reyes sul lenzuolo e sull’orologio. A inchiodare l’uomo, però, furono le intercettazioni telefoniche che all’epoca delle prime indagini non vennero ascoltate: nei nastri si sentiva il cameriere nel tentativo di piazzare i gioielli rubati nella villa dell’Olgiata, zona di Roma piena di case di lusso.
Di fronte all’evidenza dei fatti, Manuel Winston Reyes confessò: al processo venne condannato a 16 anni di reclusione, pena poi confermata anche in secondo grado. Beneficiando di alcuni sconti di pena, il cameriere venne scarcerato il 10 ottobre 2021 a dieci anni dalla condanna: la decisione generò forti proteste da parte di alcuni cittadini a piazzale Clodio.