Neve chimica, galaverna e calabrosa in Val Padana: cosa sono
Alla scoperta di neve chimica, galaverna e calabrosa: fenomeni atmosferici che interessano la Val Padana durante i mesi più freddi dell'anno
In questi giorni, caratterizzati da temperature fredde e maltempo, stanno rimbalzando sui social le foto della Pianura Padana imbiancata. Ricoperta dalla neve, la Valle del Po’ regala paesaggi da sogno.
Tra i fenomeni atmosferici che riguardano la Val Padana, immortalati dalle foto di Riccardo Premoli tratte da Rete Meteo Amatori.it, c’è quello della galaverna. Di cosa si tratta e cosa distingue questo fenomeno dalla neve chimica e dalla calabrosa?
Galaverna, calabrosa e neve chimica: cosa sono?
Durante i mesi più freddi dell’anno, soprattutto nella Pianura Padana, si sente parlare del fenomeno della galaverna: si tratta di una precipitazione atmosferica che consiste in un deposito di ghiaccio in forma di aghi o scaglie, su oggetti esterni. Questo tipo di fenomeno avviene in presenza di nebbia, quando la temperatura nell’area scende di molto al di sotto dello zero.
Nebbia e le basse temperature fanno sì che le goccioline d’acqua in sospensione nell’atmosfera, entrino a contatto con una superficie solida come terra, alberi, tetti delle case e auto, passando da vapore acqueo a ghiaccio.
Altro fenomeno molto comune in Val Padana e nel nord Italia, dove si è registrato un freddo record con la temperatura arrivata a -39,6 gradi alla Dolina di Campoluzzo, è quello della calabrosa.
La calabrosa è un deposito di ghiaccio che si riproduce in caso di nebbia sopraffusa, cioè con una temperatura inferiore allo zero. Il fenomeno avviene per la solidificazione rapida di gocce di nebbia sopraffusa: al contrario della galaverna, la calabrosa è composta da una crosta compatta di ghiaccio con granuli che la rendono simile a una spugna. Il suo colore è solitamente biancastro, ma può diventare semi-trasparente quando è particolarmente sottile.
Uno dei fenomeni atmosferici che interessano maggiormente la Valle del Po‘ in inverno è quello della neve chimica. A questo proposito, una nota di Rete Meteo Amatori.it ci tiene a far chiarezza: “Spesso ci capita di sentir parlare della Neve Chimica, tuttavia il termine risulta fuorviante, perché induce a pensare che all’origine del meccanismo di deposizione del leggero manto bianco osservato, o al suo interno, ci sia qualche sostanza chimica, estranea e sconosciuta, mentre ciò che si vede altro non è che acqua allo stato solido ovvero neve”.
Poi si legge: “Ovviamente, anche in questa neve è possibile riscontrare tracce dei noti inquinanti che stazionano sulla Val Padana, sia naturali che prodotti dalle attività umane, ma non in qualità o quantità diversa da quelle che si riscontrerebbero in una normale pioggia o neve”.
E ancora: “Il termine corretto per definire questo fenomeno è Neve da Nebbia. Come sappiamo le precipitazioni da nebbia non sono una novità. Infatti si verificano spesso delle pioviggini in presenza di nebbia, ma in particolari condizioni specie in inverno quando le temperature sono rigide, le precipitazioni possono assumere una forma solida”.
La spiegazione prosegue così: “Scendendo più nel dettaglio, per l’origine di qualunque precipitazione è necessario un accumulo di vapore acqueo su nuclei di condensazione, come ad esempio: aerosol, polveri, particelle microscopiche di vario tipo, di origine naturale o antropica. Se non ci fossero questi elementi, la fisica ci dimostra che dovremmo avere altissime % di umidità superiori al 100% prima che la molecola di vapore possa condensare in autonomia. Spostando questo meccanismo in una zona urbana, con condizioni di alta pressione, le particelle presenti nell’aria tra cui anche il particolato, accumulatesi sotto l’inversione termica, possono agire da nuclei di condensazione”.
Nella nota si legge ancora: “Quando le temperature sono rigide e raggiungono valori sotto-zero, si può avere il congelamento di qualche gocciolina di acqua in ghiaccio, o se fa molto freddo la sublimazione inversa del vapore acqueo direttamente sul nucleo di condensazione. Nel momento in cui queste particelle di ghiaccio e/o acqua sono contenute nella nebbia, si avvia un meccanismo fisico in cui le particelle di ghiaccio tendono ad ingrossarsi a spese di quelle di acqua, unita poi alla turbolenza dell’aria queste particelle possono aggregarsi tra loro formando dei fiocchi”.
La chiosa finale: “Per concludere, al pari di qualsiasi altro fenomeno meteorico, liquido o solido che sia, i processi che portano alla genesi di questo particolare evento sono fisici e non chimici, altrimenti dovremmo parlare anche di pioggia chimica in quanto il meccanismo sarebbe lo stesso”.