Otranto, relitto sommerso svela nuovi segreti sulla Magna Grecia
Studi sul relitto sommerso scoperto nel 2019 nel canale di Otranto, a 780 metri sotto il livello del mare, hanno gettato nuova luce sulla Magna Grecia
Il relitto sommerso scoperto nel 2019 a 780 metri di profondità nel canale di Otranto ha gettato nuova luce sugli albori della Magna Grecia, grazie a recenti studi condotti dalla Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo.
Grazie all’ausilio di un mezzo sottomarino filoguidato, dotato di strumentazioni di alta tecnologia, è stato infatti possibile riportare alla luce una parte del carico del relitto: si tratta di 22 reperti di ceramiche fini e contenitori da trasporto provenienti da Corinto, che il recente studio condotto dagli archeologi del ministero della Cultura hanno datato attorno alla prima metà del VII secolo a.C.
Il ministero della Cultura ha dichiarato in una nota che i reperti, attualmente conservati nei laboratori di restauro della Soprintendenza, “costituiscono un ritrovamento eccezionale e di grande importanza scientifica“.
Relitto sommerso nel canale di Otranto: i dettagli della scoperta
Il ministro della Cultura Dario Franceschini ha dichiarato: “L’archeologia subacquea è uno dei settori di ricerca più importanti del nostro Paese su cui è necessario tornare a investire. Siamo un paese circondato dal mare e abbiamo un ricco patrimonio culturale sommerso che va ancora studiato, salvaguardato e valorizzato. Le recenti indagini nel canale di Otranto confermano che si tratta di un patrimonio ricchissimo in grado di restituirci non solo i tesori nascosti nei nostri mari, ma anche la nostra storia”.
La Soprintendente, l’archeologa subacquea Barbara Davidde, ha spiegato: “Le tecnologie solitamente utilizzate nell’ambito dei lavori della pratica subacquea industriale del comparto ‘oil & gas’, usate sotto il controllo attento degli archeologi della Soprintendenza, hanno permesso di portare in superficie parte del carico del primo relitto databile all’inizio del VII secolo a.C. ritrovato nel mar Adriatico. Si tratta di un evento di eccezionale importanza, anche per le tecnologie utilizzate per il recupero, realizzato nei mari italiani a quasi 800 metri di profondità”.
Questo è il commento del Direttore dei Musei Massimo Osanna: “La scoperta ci restituisce un dato storico che racconta le fasi più antiche del commercio mediterraneo agli albori della Magna Grecia, meno documentate da rinvenimenti subacquei, e dei flussi di mobilità nel bacino del Mediterraneo. È un carico intatto che getta luce sulla prima fasi della colonizzazione greca in Italia meridionale, grazie anche allo stato di conservazione significativo che ci permette di capire quello che trasportavano: non solo cibi come olive, ma anche coppe da vino considerate beni di prestigio e molto apprezzate anche dalle genti italiche”.
Ancora Barbara Davidde: “Si tratta in particolare di 3 anfore della tipologia corinzia A, 10 skyphoi di produzione corinzia, 4 hydriai di produzione corinzia, 3 oinochoai trilobate in ceramica comune e una brocca di impasto grossolano, di forma molto comune a Corinto. Molto interessante il pithos, recuperato frammentario, con tutto il suo contenuto costituito da skyphoi impilati al suo interno in pile orizzontali ordinate. In questa fase, se ne contano almeno 25 integri, oltre a diversi frammenti pertinenti ad altre coppe. Il numero totale degli skyphoi ed eventuali altri elementi contenuti originariamente nel pithos verranno definiti attraverso uno scavo in laboratorio con la rimozione del sedimento marino”.
In considerazione dell’importanza del relitto, il ministero della Cultura ha in programma di procedere al recupero dell’intero carico (costituito da circa 200 reperti, ancora sparsi sul fondale, di cui si dispone già di una mappatura georiferita), al restauro dei reperti e alla realizzazione di analisi archeometriche sui materiali e archeobotaniche su eventuali residui organici e vegetali (una delle anfore corinzie che ha restituito i resti di noccioli di olive).