Cosa è stato ritrovato sul letto dei fiumi italiani in secca
Carri armati, antiche palafitte, animali preistorici e testimonianze archeologiche che si credevano perdute: cosa emerge dai fiumi italiani in secca
I fiumi italiani sono in secca: la siccità che ha colpito l’Italia, in particolare il nord del Paese, è tra le peggiori degli ultimi vent’anni. Così, prosciugati dall’assenza delle piogge stagionali che non sono mai arrivate, i letti di molti fiumi italiani stanno rivelando solchi scavati nella terra e larghe distese di sabbia là dove un tempo scorreva l’acqua.
Dai letti dei fiumi in secca stanno tornando alla luce rifiuti e resti di imbarcazioni perdute, ma anche ritrovamenti archeologici e pezzi di storia di cui si erano perse le tracce.
Cosa è stato trovato nel Po in secca
Le immagini satellitari dell’ESA lo hanno mostrato e i dati dell’Osservatorio permanente sugli utilizzi idrici dell’Autorità di bacino distrettuale del Po (AdBPo) lo hanno confermato: il Po sta attraversando la peggiore crisi idrica degli ultimi settant’anni.
Prosciugato dalla siccità, il letto del Po ha riportato alla luce diversi oggetti: molti rifiuti, purtroppo, ma anche resti e testimonianze di un certo valore o che si credevano perduti per sempre.
Per esempio a Sermide, nel mantovano, la secca del Po ha restituito alla memoria popolare un veicolo semicingolato della Germania nazista che si cercava da tempo. Gli anziani del posto raccontano che nel dopoguerra venisse usato come trampolino per tuffarsi nel fiume, ed era noto che si trovasse ancora in zona, dopo essere stato abbandonato dai tedeschi in ritirata nel 1945. Si sapeva che fosse lì, ma soltanto l’eccezionale situazione di secca ha permesso di individuarlo.
Le sponde emiliane del Po avevano rivelato dei relitti di imbarcazioni già durante la siccità del 2006: nei pressi di quella che viene chiamata Isola degli Internati, nel territorio di Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, sono oggi tornate alla luce altre imbarcazioni. Oltre alle tre navi abbattute durante la Seconda Guerra Mondiale emerse anni fa, sono tornati a farsi vedere da qualche mese anche i resti di due bettoline, imbarcazioni molto più piccole che conobbero la stessa tragica fine.
Poco oltre, sempre in provincia di Reggio Emilia, a Guastalla, il Po ha restituito buona parte di quello che resta del burchio “Ferrante Gonzaga”: la grande imbarcazione era stata usata come studio dall’artista Giovanni Migliori per diversi anni, per poi essere distrutta a causa di una piena nel 2000.
Resti archeologici nei fiumi italiani
I letti dei fiumi italiani in secca stanno mostrando anche oggetti molto più antichi: non soltanto relitti della Seconda Guerra Mondiale, ma anche resti di enormi animali preistorici e testimonianze che risalgono all’Età del Bronzo.
Sull’Oglio, tra i comuni di Canneto e Calvatone, a cavallo tra le province di Mantova e Cremona, la secca del fiume ha rivelato i resti di un antico sito di palafitte.
Non è la prima testimonianza del genere lungo il corso dell’Oglio: alla fine dell’Ottocento le acque del fiume in ritirata avevano permesso importanti ritrovamenti, tra cui quelli dei resti palafitticoli ai Lagazzi, oggi parte del sistema dei siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino, riconosciuto dal 2011 come patrimonio dell’umanità Unesco.
Molto più recente la scoperta che ha interessato il corso dell’Adige, il secondo fiume italiano: a Bonavigo, nei pressi di Verona, sono emerse in seguito al ritrarsi delle acque le mura del Castello Morando, costruito all’epoca della dominazione scaligera, cioè tra il 1262 e il 1387.
La scoperta è di particolare importanza in quanto le mura, che avevano scopo difensivo ma servivano anche a proteggere l’abitato dalle piene dell’Adige, si credevano perdute per sempre: non erano infatti mai state individuate, tanto che si ipotizzava potessero trovarsi altrove, a maggiore distanza dal corso del fiume.
Tra i reperti archeologici restituiti alla luce dai fiumi italiani in secca non può mancare il tesoro “rivelato” dal Tevere: vicino al ponte Vittorio Emanuele II, visibili dal lungotevere Vaticano, sono tornati visibili i resti del ponte Trionfale, o Neroniano, fatto edificare dall’imperatore Nerone nel I secolo e probabilmente caduto in disuso già all’epoca della costruzione delle mura aureliane, appena un secolo dopo.
I resti dei piloni del ponte Neroniano sono visibili quando il Tevere è in secca, e la loro esistenza è ben documentata: non una scoperta, quindi, ma certo un’interessante voce da aggiungere alla lista dei segreti della città Eterna.