Cosa sono gli struffoli, protagonisti delle feste natalizie napoletane e non solo
Tondi, ricchi di gusto e dal sapore natalizio: gli struffoli regnano sulle tavole del sud durante le feste natalizie
Per chi non vive al sud la parola “struffoli” dirà ben poco, anzi un nome così particolare potrebbe far pensare a tutto tranne che a una pietanza culinaria. Chi ha dimestichezza con la lingua greca antica avrà però colto il rimando etimologico con il termine “strongylos”, che significa “dalla forma tondeggiante”
Sembrano degli gnocchi, ma il miele e gli zuccheri che grondano tradiscono il cuore dolce che si nasconde in ogni boccone: gli struffoli sono piccole palline di pasta dolce fritta nell’olio, che vengono poi immerse in un bagno di miele, guarnite con confetti colorati e canditi e servite su dei piatti che fanno da letto a una composizione di bontà. La disposizione delle gustose sfere non è mai casuale ma richiama una vera e propria piramide di gusto. Nel napoletano, e non solo, questo tipico dolce – che viene preparato soprattutto durante le festività natalizie – è una vera e propria istituzione. C’è chi ha ravvisato una certa somiglianza con il piñonate spagnolo, un dolce preparato in maniera molto simile ma che ha forma differente. L’ipotesi della derivazione spagnola deve stupire, il Regno di Napoli, per lungo tempo, è stato dominato dagli spagnoli che nel corso dei decenni hanno importato nella penisola italiana un notevole numero di tradizioni.
L’impasto è semplice: bastano farina, un pizzico di sale, delle uova, zucchero semolato e burro che va tagliato a dadetti e ammorbidito. Una grattugiata di scorza di limone e qualche goccia di rum, per gli amanti dei sapori un po’ più alcolici, completano il capolavoro di gusto che non può mancare sulle tavole dei napoletani e del sud Italia in generale. Dall’impasto si ricavano poi piccoli tocchetti, come si fa per gli gnocchi che poi vengono fritti e addolciti dal miele.
Le biglie ricolme di sapore sono conosciute nel napoletano come struffoli, ma in realtà sono diffuse in tutto il sud, seppure con altri nomi: a Taranto si mangiano le “sannachiudere” in Sardegna i “giggeri”, a Lecce “purcedduzzi”, cioè piccoli porcellini fritti. Anche nel centro Italia c’è spazio per questa antica ricetta, in Abruzzo, Molise e in alcune zone del Lazio e Marche si fanno chiamare “cicerchiata”, nome non molto dissimile dai “cicerata” sotto il cui nome vengono mangiati in Calabria e Basilicata.