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Come sarà il 2023 degli italiani a tavola

Una recente ricerca dell'Ufficio Studi Coop illustra le previsioni di spesa e consumi degli italiani per il nuovo anno: ecco come sarà il 2023

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Sopravvissuti al covid-19, oramai assuefatti ai bollettini di guerra, quotidianamente alle prese con il carovita: per gli italiani il 2022, l’anno che avrebbe dovuto essere quello della rinascita dopo la pandemia di covid-19, si è tramutato nell’anno caratterizzato da guerra, rincari e dallo spauracchio inflazione. È con uno stato d’animo contrastante, dunque, che si affacciano al 2023, identificando in timore e inquietudine, ma anche in fiducia e aspettativa, i sentimenti e le sensazioni con cui lo iniziano.

Italiani popolo di resilienti: il 39% inizia il 2023 con fiducia

È quanto emerge dalle due survey dell’Ufficio Studi Coop condotte a dicembre 2022, la prima su un campione rappresentativo della popolazione italiana e la seconda sulla community di esperti del portale italiani.coop. Come detto, parlando di emozioni e sensazioni il campione si è diviso tra timore (33%), inquietudine (22%), fiducia (39%) e aspettativa (38%) per il nuovo anno. Il 28% manifesta accettazione della realtà, il 24% una serenità interiore, il 26% continua comunque ad associare all’anno appena iniziato la parola “speranza”.

Italiani popolo di resilienti, dunque, anche grazie agli affetti e alla vita familiare (tra i buoni propositi per il nuovo anno il 56% indica di voler trascorrere più tempo in famiglia e il 20% di mettere al mondo un figlio), ma pronti ad adottare stili di vita più slow e meno iperconnessi.

Più farine e alternative alla carne sulle tavole degli italiani

Una disposizione d’animo che si riflette anche sui consumi: cibo e salute restano centrali per il benessere degli italiani e si rinuncia invece, anche se a malincuore, all’outdoor, ai viaggi e alla convivialità. E per far fronte all’aumento dei prezzi, l’80% degli italiani cambierà le proprie abitudini alimentari orientandosi verso diete più salutari e prive di carne, più sobrie e all’insegna del motto “meno sprechi“. Il 45% conta di spendere di più per le bollette e il 32% per cibo e bevande, il tutto a scapito di ristoranti e altri locali e spettacoli e cultura (rispettivamente per il 32% e il 26% degli intervistati).

Secondo il 40% dei manager Food & Beverage intervistati, il 2023 sarà dunque un anno all’insegna della sobrietà ed essenzialità alimentare. Sugli scaffali le novità del 2023 saranno la pasta e le farine prodotte con grani antichi o con prodotti low carb e maggiore contenuto di proteine. E un italiano su cinque ha dichiarato che, se dovesse rinunciare alla carne vera, sarebbe disponibile a passare a quella carne coltivata in vitro.

Il Natale 2022 potrebbe quindi essere stato un “ultimo”, almeno dal punto di vista di determinate abitudini alimentari. Primo Natale senza restrizioni e con una pandemia che fa meno paura, è stato comunque caratterizzato dal condizionamento rappresentato dall’incremento dei prezzi, che hanno fatto crescere nella spesa degli italiani prodotti come panettoni, pandori e altro, prodotti da forno, salumi, formaggi e gli ingredienti di base. Per questa ragione la spesa degli italiani nelle ultime due settimane dell’anno è stata di oltre il 13% maggiore di quella del 2021 ma con una riduzione delle quantità di circa un punto percentuale per gli acquisti delle festività e di quasi 2 punti per l’intero mese di dicembre.

Preoccupano i risultati della filiera alimentare

A preoccupare però sono i consumi e i risultati economici della filiera alimentare. Se infatti dopo un anno di aumenti record, le previsioni dei manager stimano un primo rallentamento dei prezzi entro l’estate, l’inflazione dei beni alimentari lavorati resterà elevata (+ 6,7% medio nel 2023 secondo i manager italiani del settore Food & Beverage), si ridurranno i volumi acquistati dalle famiglie nella Gdo (-0,9%) e si conferma il peggioramento della redditività delle imprese industriali e, soprattutto, distributive (lo teme il 66% dei manager del settore) con conseguente calo degli investimenti (37%) e ricadute anche sul fronte occupazionale (27%).

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