Balenottera avvistata a Taranto: perché era vicina alla costa
Una balenottera comune è stata avvistata nel golfo di Taranto dopo 16 anni, un evento raro che testimonia l’eccezionale biodiversità dell’area
Un avvistamento straordinario ha catturato l’attenzione di biologi e appassionati del mare: una balenottera comune è stata osservata nel golfo di Taranto, a circa dodici chilometri dalla costa, nei pressi di Capo San Vito. L’evento, documentato il 28 febbraio dai ricercatori della Jonian Dolphin Conservation (Jdc), segna un ritorno significativo dopo ben 16 anni dall’ultimo incontro con un esemplare simile in quest’area.
Balenottera nel golfo di Taranto: i motivi dietro l’avvistamento
Si tratta di un avvistamento raro, tanto più considerando che i ricercatori della Jdc, associazione che monitora e studia la presenza dei cetacei nel Mar Jonio, effettuano oltre 250 uscite l’anno proprio in queste acque. L’ultimo avvistamento di una balenottera comune in quest’area risaliva al 28 aprile 2009. Tutti i dati raccolti sono stati trasmessi al Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, con cui la Jdc collabora da anni.
Il golfo di Taranto rappresenta un habitat fondamentale per numerose specie marine. Secondo Francesca Santacesaria, responsabile delle attività di ricerca della Jdc, questa zona si distingue per le sue profondità variabili che vanno dai 600 metri vicino alla costa fino ai 1200 metri in direzione di Santa Maria di Leuca. La conformazione del fondale favorisce la risalita di nutrienti dal fondo alla superficie, rendendo quest’area particolarmente adatta alla presenza di cetacei.
Si tratta del secondo animale più grande del pianeta, superato solo dalla balenottera azzurra. Un esemplare adulto può raggiungere e superare i 24 metri, anche se la lunghezza media è generalmente inferiore. Inoltre, le balenottere comuni che abitano l’emisfero boreale tendono a essere più piccole di 2-3,5 metri rispetto a quelle dell’emisfero australe.
L’esemplare avvistato era un adulto di quasi venti metri, localizzato a circa 8 miglia dalla costa, in un’area dove le acque raggiungono 600 metri di profondità. Al momento dell’avvistamento, la balenottera era in superficie e si stava alimentando, confermando l’ipotesi che la presenza di abbondante cibo sia la ragione principale del suo avvicinamento alla costa.
“Il golfo è un mare ricco di nutrienti e il ricircolo delle acque genera correnti di risalita, dal fondo alla superficie, proprio dei nutrienti. Abbiamo visto la balenottera in questo periodo perché d’inverno c’è più cibo. Le balene sono animali filtratori e si alimentano mangiando plancton e piccoli pesci” ha spiegato la biologa Santacesaria in una intervista riportata sul ‘Corriere della Sera’.
L’esemplare si trovava nelle vicinanze del primo impianto eolico offshore del Mediterraneo, realizzato nel porto di Taranto, una zona dove la disponibilità di cibo potrebbe aver favorito la sua permanenza.
Oltre alle balenottere, il golfo di Taranto ospita regolarmente delfini, capodogli e, più raramente, lo Zifio, un cetaceo che predilige le acque profonde. “Sì certo, il golfo di Taranto si presta ad avere lo Zifio, un’altra specie di cetaceo. Sono però rari e vivono ad elevate profondità. Ne abbiamo avvistato una coppia l’estate scorsa. Poi ne potrebbero arrivare altri” ha aggiunto Santacesaria.
I rischi per le balenottere nel golfo di Taranto
Nonostante la ricchezza di vita marina, l’ecosistema del golfo di Taranto affronta numerose sfide. “Tutti i cetacei e gli animali che svolgono le loro attività in mare hanno bisogno che sia in salute mentre i problemi sono di diversa natura e a più livelli”, ha sottolineato Santacesaria.
“C’è l’inquinamento, da metalli pesanti e da plastiche; poi la disponibilità di prede che sta diminuendo; ancora c’è la distruzione degli habitat a causa dell’impatto delle imbarcazioni. Un altro tema caldo è legato al rumore sottomarino”, ha evidenziato la biologa.
Uno dei problemi più rilevanti è l’inquinamento acustico. “I cetacei sono animali che comunicano a elevate distanze con suoni a bassa frequenza, le stesse emesse dalle imbarcazioni. Per esempio, i delfini usano suoni per orientarsi nello spazio e cacciare, e a causa del rumore possono perdere l’orientamento. Anche le prospezioni petrolifere possono rappresentare un rischio. Esiste un dualismo, ma c’è da dire che malgrado le attività dell’uomo si registrano anche nuovi nati”, ha spiegato la biologa.
Esistono normative a tutela dei cetacei, sia a livello nazionale che internazionale, ma secondo gli esperti sarebbero necessarie misure più specifiche, mirate alla protezione degli habitat marini. “Ma allo stesso tempo, per proteggere queste specie, ci vorrebbero misure più mirate per gli habitat perché in base a dove si trovano gli animali le esigenze sono diverse. Occorre studiare il posto e sviluppare misure appropriate“, ha concluso Santacesaria.