Perché l'amatriciana è una ricetta napoletana: la tesi
Perché l'amatriciana sarebbe una ricetta napoletana: la tesi di Marino Niola, antropologo dell'Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa
L’amatriciana è una ricetta napoletana e non romana: a rivelarlo è Marino Niola, professore di Antropologia all’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa.
L’amatriciana è una ricetta napoletana: la tesi dell’antropologo
La tesi dell’antropologo si basa sul fatto che Amatrice, il Comune in provincia di Roma che ha dato i natali al mitico piatto della cucina tradizionale laziale, un tempo apparteneva al Regno di Napoli. Ai microfoni di ‘Repubblica’, lo studioso ha dichiarato:
“Se pensate che l’amatriciana sia un piatto tipicamente romano, preparatevi a ricredervi. Casomai è napoletana, per il semplice fatto che Amatrice, fino all’Unità d’Italia, apparteneva al Regno di Napoli e più precisamente alla provincia di Abruzzo Ultra, le province che erano al di là del fiume Pescara”.
L’antropologo dell’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa, in tempi non sospetti indicata come una delle università italiane dove gli studenti sono più felici, ha spiegato che l’amatriciana inizialmente non era nemmeno un sugo per la pasta, bensì un companatico:
“In realtà l’amatriciana non era nemmeno un piatto come lo conosciamo noi adesso, non era un sugo per condire la pasta, ma era un companatico, perché i pastori, quando partivano per la transumanza, si portavano guanciale, pecorino e strutto, e quindi lo usavano per condire il pane”.
E ancora: “Tra l’altro era tutto in bianco, mancava il pomodoro. Quindi sono gli ingredienti di quella che noi chiamiamo la gricia, poi da allora sono iniziate un sacco di innovazioni. Possiamo dire che per arrivare fino alla nostra Amatriciana ci sono volute almeno cinquanta sfumature di gricia.
Evoluzione dell’amatriciana: le innovazioni romane
Marino Niola ha spiegato in che modo l’amatriciana si è evoluta nel corso degli anni, diventando la specialità conosciuta e apprezzata a livello internazionale, non a caso è presente nella classifica dei piatti di pasta più amati dagli stranieri in Italia:
“L’innovazione fondamentale è stata quella del pomodoro che arriva dalle province meridionali del Regno delle due Sicilie. Poi c’è stato soprattutto il connubio con la pasta, che all’inizio non era il bucatino ma lo spaghetto e questo lo dice a chiare lettere il disciplinare di produzione dell’Amatriciana, dove si parla di spaghetto. A dirlo sono perfino i cartelli stradali del comune di Amatrice, dove c’è scritto Amatrice, città degli spaghetti all’Amatriciana”.
Per l’antropologo, infine, non è il luogo di nascita a fare l’identità di un cibo o un piatto, bensì il luogo dove si evolve:
“Le grandi innovazioni romane sono la sostituzione del pecorino con il proprio, il pecorino romano, l’introduzione del pomodoro e la sostituzione dello spaghetto con il bucatino, diventato poi protagonista di questo piatto. Il bucatino conferisce all’Amatriciana un’impronta tipicamente romanesca. A fare l’identità di un cibo non è il luogo dove nasce, ma il luogo dove rinasce e diventa qualcosa di diverso. E non è un caso che oggi, a dispetto delle origini, la migliore Amatriciana è proprio quella che si mangia a Roma”.
Sulla paternità dell’amatriciana si è a lungo dibattuto: durante il Festival di Sanremo del 2025, per esempio, il direttore d’orchestra Enrico Melozzi ha rivendicato l’origine abruzzese del piatto, in quanto Amatrice ha fatto parte della provincia de l’Aquila fino al 1927, prima di entrare a far parte del Lazio.