Archeologia industriale in Italia: i villaggi operai
I villaggi operai raccontano di un esperimento economico e sociale che ha caratterizzato il processo di industrializzazione a cavallo tra Ottocento e Novecento
I villaggi operai sono un indubbio argomento di fascino nell’ambito dell’archeologia industriale per i loro molteplici aspetti che coinvolgono dalla storia economica a quella sociale, dall’urbanistica all’architettura, dalla scienza della tecnica finanche alla geografia.
In Italia i villaggi industriali prendono forma negli ultimi decenni dell’Ottocento ispirandosi ai modelli inglesi e francesi. Scopriamo insieme alcuni dei più bei villaggi operai in Italia.
Leggi tutti gli approfondimenti sulla storia e le origini dei Villaggi Operai.
Vedi il video sul Villaggio operaio Crespi D’Adda
Il Villaggio operaio di Crespi d’Adda (BG), parte del Patrimonio UNESCO dal 1995, rappresenta la più importante testimonianza in Italia del fenomeno dei villaggi operai.
Fabbrica e villaggio di Crespi d’Adda furono realizzati a cavallo tra Otto e Novecento dalla famiglia di industriali cotonieri Crespi, quando in Italia nasceva l’industria moderna.
Il Villaggio Crespi d’Adda è una vera e propria cittadina completa costruita dal nulla dal padrone della fabbrica per i suoi dipendenti e le loro famiglie. Ai lavoratori venivano messi a disposizione una casa con orto e giardino e tutti i servizi necessari: chiesa, scuola, ospedale, dopolavoro, teatro, bagni pubblici. In questo piccolo mondo perfetto il padrone “regnava” dal suo castello e provvedeva come un padre a tutti i bisogni dei dipendenti, dentro e fuori la fabbrica e “dalla culla alla tomba”, anticipando le tutele dello Stato stesso. Nel villaggio potevano abitare solo coloro che lavoravano nell’opificio, e la vita di tutti i singoli e della comunità intera “ruotava attorno alla fabbrica stessa”, ai suoi ritmi e alle sue esigenze.
Il Villaggio Leumann di Collegno (TO) insieme al Cotonificio fu edificato tra il 1876 e il 1912 dall’imprenditore svizzero Napoleone Leumann per dare lavoro, sistemazione e servizi gratuiti alle maestranze qui impiegate che provenivano sia dalla precedente tessitura di Voghera, nell’Oltrepò pavese, sia dai comuni limitrofi a Collegno.
Il Villaggio Leumann venne concepito per essere del tutto autonomo. Le villette per gli operai e gli impiegati sono costruite su due piani e dotate di e orto-giardino. Accanto alle abitazioni vengono erette una serie di strutture assistenziali gratuite supportate da iniziative assistenziali (cassa malattia, cassa nuziale, cassa pensioni, liquidazione): il convitto per le operaie, il refettorio, l’edificio dei bagni, l’ambulatorio medico, il teatro, l’albergo Il Persico, l’ufficio postale, l’asilo nido, la scuola materna, la scuola elementare, la palestra, la chiesa di Santa Elisabetta, il circolo per gli impiegati e uno spaccio alimentare e la stazionetta. Tipicità del Villaggio Leumann è lo stile architettonico vernacolare di ispirazione svizzera: l’immagine idilliaca e pittorica degli chalet montani si traduce nell’uso smodato del legno e dei tetti cuspidati.
Il cotonificio ha continuato la propria attività produttiva fino al 1972 quando chiuse in parte i battenti (Tessitura) a seguito della grave crisi del settore tessile.
La città di Schio, in provincia di Vicenza, è nota per essere divenuta intorno al 1870 la capitale dell’industria tessile nazionale, tanto da meritarsi l’appellativo di Manchester d’Italia. Grazie alla dirompente personalità dell’imprenditore Alessandro Rossi, che ne costituì la civitas, ossia il modello socio-culturale imperniato su una sorta di capitalismo “paternalistico”, Schio divenne uno dei principali poli produttivi d’Europa.
L’avvio della grande impresa tessile si deve a Francesco Rossi (1782-1845), già procuratore di lane nell’Alto Vicentino. A testimoniare la magnificenza dell’azienda restano i due edifici maggiori, disposti a “elle” rispetto al vasto cortile interno, un tempo occupato dai numerosi reparti del Lanificio Rossi e oggi per lo più piazzale parcheggio in attesa di una nuova destinazione d’uso.
Rispettando le caratteristiche dei tipici villaggi operai, oltre che i due corpi di fabbrica, lo Stabilimento Francesco Rossi e la Fabbrica Alta, furono edificati a Schio il quartiere di villette operaie, gli edifici scolastici, la chiesa, il teatro ed il giardino intitolati al francese Joseph-Marie Jacquard, inventore dell’omonimo telaio automatico, ed altri servizi di interesse pubblico oggi per lo più scomparsi o rimodernati per altre attività, pur rimanendone memoria nella documentazione storica come la ghiacciaia comune, lo stabilimento bagni, piscina e lavatoi pubblici.
Torviscosa (UD) è una città di fondazione costruita tra il 1937 e il 1942, ovvero una di quelle città nuove sorte in Italia negli anni Trenta del Novecento nei territori di bonifica e caratterizzate da architetture di regime. Torviscosa è al tempo stesso una company town perché la sua fondazione è legata a una grande azienda italiana, la SNIA Viscosa (da cui Torviscosa prende una parte del nome) che all’epoca si dedicava soprattutto alla produzione di fibre artificiali ricavate dalla cellulosa e che trova in questa parte della pianura friulana ancora poco sfruttata un territorio ideale per un esperimento “autarchico”: la coltivazione su larga scala di canna comune da cui ricavare la materia prima per le sue produzioni e l’insediamento di un nuovo grande stabilimento industriale per la sua lavorazione.
Il grande piazzale di ingresso all’abitato, disegnato da Giuseppe De Min nel 1937, è dominato per metà dagli edifici connessi all’attività industriale e dal grande edificio di rappresentanza del CID (Centro Informazione Documentazione), costruito dalla SNIA agli inizi degli anni Sessanta come biglietto da visita della città industriale e luogo di ricevimento delle delegazioni straniere. Utilizzato fino alla fine degli anni Settanta per ospitare la biblioteca tecnica aziendale, è stato recentemente restaurato e riaperto come sede espositiva.
Accanto allo stabilimento, architetti e ingegneri disegnarono e fecero costruire la nuova città, immaginata per espandersi e ospitare fino a 20.000 persone e organizzata per aree funzionali. La struttura originaria non ha subito modifiche sostanziali e ancora oggi sono quindi riconoscibili il villaggio operaio, le case per i tecnici, le ville dei dirigenti, gli spazi del lavoro e quelli per il tempo libero e lo sport. Il fulcro della vita pubblica era rappresentato dalla piazza “Impero” (oggi piazza del Popolo). Progettata dall’architetto Giuseppe De Min nel 1940 secondo il gusto architettonico dell’epoca che si ispirava alle piazze metafisiche di Giorgio De Chirico, è dominata dall’edificio del Comune caratterizzato dalla torre dell’arengario e dal suo balcone.
Diversa da Torviscosa, Tresigallo (FE) non venne concepita come la città del padrone, finalizzata allo sfruttamento delle risorse in loco e costituita da una società divisa in classi, come non ebbe una produzione monofunzionale (Torviscosa la cellulosa); la nuova Tresigallo invece, prendendo vita dalle idee di sindacalismo integrale di Rossoni, si trasforma da borgo agricolo in crisi a un vero polo agro-industriale di scala regionale – con fabbriche destinate a vari scopi: dalla produzione di attrezzature meccaniche per l’agricoltura al trattamento industriale dei prodotti agricoli proveniente dal circostante latifondo bonificato (canapa, barbabietola, latte, frutta), fino alla produzione di una merceologia autarchica, ricavata principalmente dalla lavorazione della fibra della canapa o dei suoi sottoprodotti.