Allarme olio extravergine italiano sul mercato: cosa succede
Nuovo allarme per l'olio extravergine italiano: tra eventi climatici avversi e la concorrenza dall'estero, se ne trova sempre meno nei supermercati
Dagli scaffali dei supermercati italiani arrivano segnali preoccupanti per l’olio extravergine di oliva: se ne trova sempre meno.
Allarme olio extravergine d’oliva in Italia
I dati dei Registri Telematici dell’Olio (RTO) riportati da ‘QuiFinanza’, rivelano che al 30 giugno del 2025 le giacenze complessive di olio in Italia erano pari a 176.529 tonnellate, ma di queste solo il 42,1% di origine italiana.
Ciò significa che nel giro di un mese, da maggio a giugno, le disponibilità di olio EVO nazionale sono scese di circa 5.000 tonnellate, per una flessione dell’8,6%; nello stesso periodo, il prodotto importato è diminuito solo del 3,6%.
Tali dati rappresentano il segnale di come l’olio extravergine di olive nostrano stia diventando sempre più raro e quindi anche più caro. La situazione appare paradossale per un Paese che consuma più olio di quanto ne produce, perché la produzione basta a coprire appena un terzo del fabbisogno nazionale, portando così le aziende a ricorrere all’importazione per poter soddisfare le richieste.
Per quanto riguarda la grande distribuzione, nel primo quadrimestre del 2025 la quota di mercato dell’olio italiano è scesa fino al 21%, mentre nel biennio 2023-2024 oscillava intorno al 33/34%. Le vendite di olio nazionale, nello stesso periodo, sono salite dai 5,3 milioni di litri dell’aprile 2024 ai 9,3 milioni di litri dell’aprile 2025. La domanda, dunque, continua a salire mentre l’offerta fatica a stare al passo.
Mai come in questo periodo la sovranità dell’olio extravergine di oliva italiano è stata tanto minacciata: dal comparto arrivano richieste di mosse risolute per salvaguardare una delle grandi eccellenze nostrane.
Il pericolo dell’importazione
In generale c’è stata una corsa al ribasso dei prezzi dell’olio presente sugli scaffali dei supermercati italiani: tra i tanti motivi c’è la mossa dei grandi colossi di produzione spagnoli che hanno rafforzato la propria filiera, arrivando a controllare i flussi di approvvigionamento anche in Portogallo e nella zona del Nord Africa.
L’Italia, dal canto suo, è rimasta abbastanza frammentata, con l’assenza di grandi marchi in grado di contrattare alla pari con la grande distribuzione. La conseguenza è che le etichette provenienti dalla Spagna risultano più competitive sul fronte del prezzo, andando così a ridurre lo spazio a disposizione per quelle nazionali.
In crescita anche le importazioni di olio extravergine da Paesi al di fuori dell’Unione Europea, come la Tunisia. Al tempo stesso anche la localizzazione della produzione può rappresentare un problema: le regioni del Sud detengono il 46,3% delle giacenze, con la Puglia che da sola ne detiene il 26,9% e la Calabria l’11%.
Lo sbilanciamento territoriale non gioca a favore dell’intero comparto che risulta molto vulnerabile a eventuali eventi avversi di natura climatica o fitosanitaria. Le tante aziende olivicole di piccole dimensioni sparse per tutto il territorio, inoltre, faticano a restare competitive e molte non sono riuscite a restare al passo con le tecnologie più moderne.
Il tutto in un periodo storico condizionato da eventi climatici estremi, con periodi di forte siccità o gelate tardive, che non fanno bene al settore. Tra i segnali più evidenti si può citare la diffusione della Xylella fastidiosa, batterio che ha colpito gli ulivi della Puglia, portando all’abbattimento di migliaia di piante.