Scoperto dopo 2 secoli il segreto dei cristalli delle Dolomiti
Alcuni studiosi potrebbe aver scoperto il segreto dei cristalli delle Dolomiti, che sono stati riprodotti in laboratorio dopo diversi tentativi
Dopo quasi duecento anni di studi e ricerche sembra essere stato scoperto il mistero che riguarda la genesi dei cristalli di dolomite, il principale componente di cui sono fatte le Dolomiti.
Qual è il segreto dei cristalli delle Dolomiti
Le Dolomiti sono una serie di gruppi montuosi delle Alpi Orientali italiane che si trovano tra le regioni di Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia. La particolarità principale di queste montagne è che sono composte principalmente di dolomia, una roccia formata dal minerale dolomite. È proprio questo minerale che conferisce a queste vette alpine il loro particolare colore e candore, dettagli che nel tempo gli hanno fatto avere il nome di “montagne pallide”.
Le Dolomiti ora sono una delle destinazioni più apprezzate in Italia sia in inverno sia in estate da turisti da tutto il mondo. Per le loro caratteristiche geologiche e paesaggistiche uniche, le Dolomiti nel 2009 sono state iscritte nella lista di beni dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.
Le Dolomiti devono il loro nome allo studioso francese Déodat de Dolomieu (1750-1801) che è stato il primo a studiare il particolare tipo di roccia prevalente in questo gruppo montuoso. La roccia in questione è stata poi ribattezzata in suo onore “dolomia” e questa ha poi dato nome a tutto il gruppo montuoso.
Per anni si è tentato di riprodurre i cristalli di dolomite in laboratorio sempre a temperature inferiori ai 60 gradi, ma non è mai avvenuta una vera e propria crescita dei cristalli. Tanto che negli ultimi due secoli si è parlato a lungo del cosiddetto “problema della dolomite”.
I ricercatori dell’Università del Michigan in collaborazione con quelli dell’Università di Hokkaido in Giappone sembrano aver trovato una soluzione.
Il “segreto” sarebbe variare il livello di saturazione della soluzione. I due team hanno compiuto numerosi studi, ricerche ed esperimenti in laboratorio. Alla fine, sono arrivati a dire che per promuovere la crescita dei cristalli di dolomite sono essenziali diverse fluttuazioni nei valori di saturazione della soluzione da cui si formano.
Questa scoperta è valsa ai due team la copertina della rivista Science grazie al loro saggio dal titolo: “Dissolution enables dolomite crystal growth near ambient conditions” (La dissoluzione consente la crescita del cristallo di dolomite in situazioni vicine alle condizioni ambientali).
Le dichiarazioni dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse
Andrea Dini, ricercatore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Igg), ha spiegato che sino ad ora nessuno era arrivato a comprendere la formazione di questi cristalli. Le sue dichiarazioni sono state riprese da Ansa: “La dolomite viene spesso definita come il minerale che non dovrebbe esistere, semplicemente perché nessuno finora era riuscito a capire davvero come si forma a bassa temperatura: si tratta però di un paradosso tutto umano, perché la Natura sa esattamente come cristallizzare questo minerale che compone il 30% delle rocce sedimentarie carbonatiche del Pianeta, e le Dolomiti sono lì a dimostrarcelo”.
L’esperto continua poi portando un esempio che riguarda la quotidianità di tutti: “È un po’ come quando mettiamo troppo sale nell’acqua che bolle: se togliamo la pentola dal fuoco e lasciamo raffreddare, vediamo che il sale non disciolto si deposita e cristallizza. La dolomite è l’unico minerale che non risponde a questa regola”.
Le scoperte effettuate dagli studi dei team americano e giapponese potrebbero finalmente aver trovato una soluzione a questo caso.
Questa scoperta è importante non solo a fini scientifici e geologici ma anche storici dato che ci permetterebbe di capire meglio la storia del nostro pianeta. Sempre all’ANSA, infatti, Dini ha detto: “Se riuscissimo a capire meglio la tempistica con cui avviene la cristallizzazione della dolomite potremmo perfino utilizzarla come cronometro per misurare il tempo geologico e capire meglio la storia della Terra”.