Minne di Sant'Agata: com'è nato il dolce che dà "scandalo"?
Tonde, bianche e dalla forma indistinguibile, storia di un dolce legato alla devozione per la santa protettrice di Catania
Sono bianche, tonde e dalla forma indistinguibile, dal gusto deciso e ricolme di sentimenti che si sposano con la devozione e la tradizione: le “minne di Sant’Agata”, dolce tipico siciliano, vengono divorate soprattutto in occasione della festa dedicata alla patrona della città di Catania. Impossibile non trovarne in vendita nelle pasticcerie della città o su banchetti improvvisati che riempiono ogni angolo del paese in occasione dei festeggiamenti che si tengono, ogni anno, dal 3 al 5 febbraio e poi ancora il 12 febbraio, date in cui si ricorda il martirio della santa. Ma gli omaggi proseguono anche il 17 agosto, giorno in cui si ricorda il momento in cui le spoglie vennero nuovamente riportate nella bella città siciliana dopo esser state trafugate a Costantinopoli.
Ogni catanese che si rispetti, e il numero sempre più corposo di turisti che visitano la città, non può esimersi dal provare il dolce che richiama già dalle forme la storia della santa catanese. La minnuzza di Virgini , una cassatella ricolma di gusto fatte con farina, burro, zucchero a velo, ripiene di ricotta di pecora, arancia candita, cioccolato fondente, riprende le forme del seno della giovane santa, un omaggio che richiama il terribile martirio che dovette subire.
Nata in una rispettabile famiglia cristiana, la piccola Agata, ad appena 15 anni, decise di dedicare la propria vita a Dio e divenne così una delle vergini consacrate dal vescovo. Respinte le lusinghe del proconsole Quintiliano quest’ultimo per vendicarsi la accusò di vilipendio alla religione. Umiliazioni e torture vennero riservate alla giovane e ferma ragazza che, come ultimo strazio, fu costretta anche allo strappo dei seni, un’orripilante pratica da cui però guarì miracolosamente a seguito di una visione mistica.
Il richiamo alla vicenda concentrato in un dolce tanto buono quanto impudico viene anche richiamato in un celebre passo del Gattopardo di Tomasi da Lampedusa in cui ci si chiede come sia possibile che un dolce tanto licenzioso non avesse scatenato l’attenzione del Santo Ufficio, severo ministero ecclesiastico che avrebbe potuto imporre il divieto di produzione di un dolce così sfacciato, ma pieno di gusto e di sapore che sottende a un inevitabile perdono.