Parità di genere: le nuove indicazioni dell'Accademia della Crusca
Parità di genere, l’Accademia della Crusca fa chiarezza schwa e declinazione al femminile delle professioni: non sopravvalutare le “mode culturali”
L’Accademia della Crusca fa chiarezza su lingua italiana e parità di genere, fornendo indicazioni pratiche su schwa, articoli e declinazioni al femminile delle professioni. L’articolo davanti al cognome di donna, così come asterischi e schwa – spiega la Crusca nella risposta al quesito posto dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione – sono da evitare, così come le reduplicazioni retoriche.
Il tema, molto sentito e molto attuale, non riguarda soltanto la quotidianità di chi lavora nel settore del diritto e delle istituzioni pubbliche, ma anche “tutti i parlanti attenti a un uso della lingua che sia rispettoso delle differenze di genere”.
Crusca e parità di genere: non sopravvalutare le mode culturali
Un uso della lingua attento alla prospettiva di genere richiede un addestramento costante, scrive l’Accademia della Crusca, che ne renda naturale e automatico il rispetto, un po’ come avviene per le regole grammaticali e sintattiche. Bisogna però stare attenti a non prendere per sacrosanti principi e convinzioni che sono prodotto della storia, e come tali possono evolvere e cambiare.
La prima proposta di modello attento alle tematiche di genere nella nostra lingua, ricorda la Crusca, risale al 1986-87: allora “le rivendicazioni e le richieste di intervento” erano di matrice femminista, mentre oggi arrivano da tutto l’orizzonte lgbtq+ superando anche “la tradizionale sistemazione binaria dei generi”, cosa di cui non si può tenere conto. Lo scenario, insomma, è cambiato rispetto agli anni Ottanta – non soltanto perché oggi parliamo serenamente di “apericena” e “know how”.
Inoltre, la ripulitura della lingua italiana dai “residui patriarcali” poggia su una concezione del linguaggio che è tutt’altro che universale: secondo i sostenitori di tali principi, la lingua è capace di influenzare il modo in cui interpretiamo il mondo. Come ricorda la Crusca, però, le moderne neuroscienze “hanno messo in discussione il fatto che la lingua costituisca di per sé un condizionamento e un filtro”.
“I principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzioni delle presunte storture della lingua tradizionale non vanno dunque sopravvalutati”, spiega la Crusca, “perché sono in parte frutto di una radicalizzazione legata a mode culturali”.
Ovviamente, precisa l’Accademia, nelle comunicazioni personali va garantita la massima libertà espressiva: le indicazioni fornite si riferiscono esplicitamente all’uso formalizzato della lingua da parte di enti e organismi pubblici.
Schwa e professioni: le indicazioni della Crusca
Dopo un’approfondita discussione in seno al Consiglio direttivo, l’Accademia della Crusca ha quindi fornito delle indicazioni pratiche per il rispetto della parità di genere nella scrittura di atti giudiziari.
Innanzitutto sono da evitare le reduplicazioni retoriche del tipo “lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine, impiegati e impiegate”, espediente da limitare il più possibile nel linguaggio giuridico ma che può trovare largo uso in contesti di valenza retorica. In questi casi si può scegliere un’alternativa neutra (per esempio sostituendo “personale” a “dipendenti”), oppure si può fare ricorso al maschile plurale “inclusivo”.
Quanto all’uso dell’articolo con i cognomi di donne, la Crusca conferma con riserva le indicazioni di ispirazione femminista: “per quanto estemporanea e priva di motivazioni fondate”, spiega l’Accademia, si è infatti radicata nel tempo l’opinione che si tratti di una pratica discriminatoria, e il linguaggio pubblico non può non tenerne conto. La Meloni e la Schlein, in sostanza, vanno chiamate semplicemente Meloni e Schlein.
Per quanto riguarda lo schwa, su cui la Crusca si era già espressa piuttosto chiaramente, va assolutamente evitato nella scrittura di atti pubblici: “è da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati”. Vanno dunque tassativamente esclusi asterischi e schwa al posto delle desinenze: lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi, nella nostra lingua, resta il maschile plurale “inclusivo”.
Via libera invece senza esitazioni ai nomi di cariche e professioni volte al femminile: magistrata, prefetta e avvocata hanno il nulla osta dell’Accademia della Crusca, come anche chirurga, marescialla e colonnella. Sì anche ad assessora ed ingegnera: i nomi di professioni, ricorda la Crusca, “possono essere ricavati con l’applicazione delle normali regole di grammatica”.