È un po’ sacra e un po’ profana, la Festa dei Serpari. Ed è sicuramente folcloristica. Pare che, le sue origini, risalgano al tempo in cui Cocullo era culla del culto della dea Angizia, una divinità adorata da marsi, peligni e da altri popoli osco-umbri che: a lei si doveva la conoscenza dell’uso di erbe medicali, capaci di curare dal morso di un serpente. Leggenda vuole che Umbrone, un guerriero e sacerdote della dea, avesse insegnato ai marsi come rendere innocui quegli animali. Secondo altri, il merito andrebbe a Marso, figlio di Circe. La parte “religiosa” della festa è invece dovuta all’operato di San Domenico, che a Cocullo si fermò sette anni e che – alla città – donò due reliquie: un dente e un ferro di cavallo della sua mula.
La Festa dei Serpari è solo il culmine di una tradizione fatta di precisi rituali. Tutto comincia a inizio marzo, quando i serpari (uomini e donne di ogni età), armati di un bastoncino biforcuto, si recano fuori paese per dare la caccia ai serpenti. Una caccia che interessa un po’ tutti i rettili, dalle semplici bisce fino alle vipere. Per le vipere, si utilizza un diverso metodo di cattura: vengono provocate con un cappello di feltro per spaventarle facendo loro ombra; quando la vipera addenta la tesa del capello, i serpari lo strappano via con un movimento brusco così da privarla di quei denti cavi che contengono il veleno.
Prima dello svolgersi della festa, i serpenti catturati vengono tenuti in scatole di legno con un po’ di crusca di farina, che crea un ambiente caldo in cui possano riposare. La mattina della cerimonia, i serpari si radunano tutti sul selciato della chiesa parrocchiale dedicata a San Domenico; tengono tra le mani le loro serpi, con la testa all’ingiù e la mano chiusa. Le depongono sul simulacro del Santo all’uscita dalla chiesa, oppure le portano in processione tenendole tra le mani. Appena appare la statua di San Domenico (col ferro della mula nella mano sinistra), i rettili più vispi gli vengono deposti sulle spalle, sul collo e sulle braccia.
È a quel punto, che il rito entra nel vivo. Lasciate libere di muoversi, le serpi schizzano in ogni direzione, si arrampicano sulla statua, strisciano lungo la strada per allontanarsi dalla folla. Intanto, la processione procede lungo le vie del centro storico, con i bambini vestiti in abiti tradizionali, con due ragazze che – ai fianchi della statua – portano sulla testa un cesto contenente cinque pani sacri (i “ciambellani”, da un miracolo di San Domenico) poi donati ai portatori della Sacra Immagine e del gonfalone.
Si svolge, la Festa dei Serpari, alla presenza di turisti accorsi da tutta Italia e dal mondo, per assistere ad un evento unico nel suo genere. I serpari amano fare tutta la processione con addosso le serpi più pigre, portate nelle posizioni più assurde. Sebbene leggenda vuole che gli animali siano resi mansueti dal santo, quel giorno, sono in realtà frastornati dal frastuono e dalla tantissima gente. Un tempo, al termine della cerimonia, le serpi venivano uccise sul selciato della chiesa. Oggi, vengono invece restituite alla montagna. Per poi essere magari catturate di nuovo l’anno successivo.
È un comune italiano piccolissimo, Cocullo. In Abruzzo, in provincia de L’Aquila, ha solamente 226 abitanti. Eppure, qui, va in scena uno dei più suggestivi riti italiani, la Festa dei Serpari. Si svolge l’1 di maggio. E, fin dalla sua origine, attira in questo paesino migliaia di persone. Del resto, pochi sono gli eventi che – nella nostra penisola – possono vantare origini così antiche. Addirittura, i suoi inizi avrebbero a che vedere con una dea…