Merluzzo a rischio nel mar Mediterraneo, la decisione dell'Italia
Il merluzzo è a rischio nel Mediterraneo a causa della sovrapesca e l'Italia frena sulle restrizioni proposte dall'UE per tutelare la specie
Nel cuore del Mediterraneo, un dramma silenzioso sta prendendo forma: il merluzzo, conosciuto in Italia come nasello (Merluccius merluccius), rischia l’estinzione dalle sue acque. Questo scenario è il risultato di decenni di pesca intensiva, che hanno ridotto gli stock a livelli critici. Nonostante ciò, l’Europa fatica ad adottare misure efficaci per contrastare il fenomeno, con alcuni governi che frenano sulle restrizioni; tra questi, Italia, Francia e Spagna si oppongono alle nuove regole proposte dalla Commissione Europea. Ma cosa significa questa decisione per il futuro della biodiversità e delle economie locali?
Perché il merluzzo rischia di sparire nel Mediterraneo
Secondo i dati del Comitato Scientifico, Tecnico ed Economico per la Pesca (STECF), gli stock di merluzzo nel Mediterraneo occidentale sono ormai sotto il 10% dei livelli minimi necessari per garantirne la sopravvivenza. Ogni anno, vengono pescati quantitativi quasi doppi rispetto ai limiti sostenibili, compromettendo la possibilità di rigenerazione. Questo fenomeno non riguarda solo il merluzzo: altre specie demersali, come il gambero viola e lo scampo, stanno vivendo una crisi simile.
La situazione è stata al centro del recente Consiglio Agrifish, l’organo europeo che riunisce i ministri di agricoltura e pesca. Durante la riunione del 9 e 10 dicembre, si è discusso un piano di riduzione dei giorni di pesca per il 2025. Italia, Francia e Spagna, tuttavia, hanno chiesto una moratoria, dichiarando che tali misure avrebbero conseguenze insostenibili per le loro economie locali.
Come riportato da ‘Corriere della Sera’: “Con una lettura rigida delle indicazioni scientifiche significherebbe andare incontro a misure che non sono accettabili per le nostre economie locali e nazionali”, hanno affermato in una dichiarazione congiunta.
La decisione dell’Italia sul merluzzo nel Mediterraneo
Alla fine, il Consiglio Agrifish ha raggiunto un compromesso. Sono state introdotte nuove restrizioni alla pesca a strascico, ma accompagnate da misure compensative. Queste includono l’utilizzo di reti a maglie più larghe e l’istituzione di aree protette, che potrebbero consentire ai pescatori di recuperare nel 2025 quasi lo stesso numero di giorni di pesca del 2024.
Secondo Francesco Colloca, ricercatore presso la Stazione Zoologica Anton Dohrn, “È necessario raggiungere i target della Commissione europea del massimo sfruttamento sostenibile, la riduzione dello sforzo di pesca deve essere portata avanti, magari in modo progressivo nell’arco di alcuni anni, ma deve essere portata avanti se vogliamo dare un futuro alla pesca”.
Nonostante questi interventi, molti esperti restano scettici sulla loro efficacia. Un rapporto della ONG Oceana ha rivelato che il 46% delle popolazioni ittiche analizzate nel Mediterraneo è sovrasfruttato in modo critico, mentre solo il 15% ha raggiunto livelli di sostenibilità.
“Manca solo un minuto a mezzanotte. Ora è tempo di adottare misure di emergenza per salvare il merluzzo, perché salvare una specie ci aiuterà a salvare l’ecosistema, le comunità locali, il mar Mediterraneo nel suo complesso, e non ultima la nostra identità”, ha dichiarato Giulia Guadagnoli, responsabile per la pesca nel Mediterraneo presso Oceana, sottolineando l’urgenza di misure più incisive.
Il settore della pesca rappresenta una parte fondamentale dell’economia mediterranea. L’Italia, con quasi 10.000 imbarcazioni, è una delle flotte più grandi della regione. Tuttavia, negli ultimi anni, molti pescatori hanno visto ridursi drasticamente i giorni di attività e il volume del pescato.
Paco Català, presidente della Cooperativa dei pescatori di Calpe, ha spiegato: “Per via dell’Europa, noi lavoriamo tra i 140 e i 150 giorni l’anno. Perché non vogliono che lavoriamo? Ci chiedono di non sfruttare il mare, ma non siamo noi il problema. Perché lo fanno? Non lo so”..
Sul versante opposto, Massimo Siccardi, commerciante di pesce ad Anzio, ha raccontato un’altra realtà: “Da noi è sparito tutto, non c’è più niente, alcuni pesci non ci sono più. Negli anni ‘80 qui ad Anzio venivano le flotte da Civitavecchia, Piombino, anche dalla Sicilia, perché c’era tantissimo pesce. Restavano per la stagione, da marzo a settembre, e poi andavano via. […] Il pescato si è ridotto del 70%”.
Questo impoverimento delle risorse ittiche sta costringendo molti pescatori a spingersi sempre più al largo: “sono costretti ad andare più a largo possibile. Ogni volta che escono consumano da 600 a 700 euro di gasolio, quindi se non pescano almeno 3-4 mila euro di pesce non hanno fatto la giornata”, ha proseguito.
Il Mediterraneo, culla di civiltà e biodiversità, è oggi un ecosistema in bilico. La sfida è trovare un equilibrio tra la sostenibilità ambientale e la sopravvivenza economica delle comunità locali. Come ha sottolineato Colloca, “La riduzione dello sforzo di pesca va a colpire le flotte nel breve periodo, ma nel lungo periodo ne garantisce la sopravvivenza. Purtroppo la politica ragiona su tempi brevi”.
Con l’avvicinarsi della scadenza del piano WestMed MAP nel 2025, la pressione è alta. Riusciranno i governi e l’industria della pesca a lavorare insieme per salvare il merluzzo e il Mediterraneo? La risposta a questa domanda definirà il destino di uno dei mari più iconici del mondo.