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Perché Spritz e Carbonara hanno divorato l'Italia (per il NYT)

Il New York Times racconta la foodification italiana: Spritz e Carbonara emblemi di un turismo che cambia le città e ne offusca l’autenticità

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Valentina Alfarano

Valentina Alfarano

Editor & Coach Letterario

Lavorare con le storie è la mia missione! Specializzata in storytelling di viaggi, lavoro come editor di narrativa e coach di scrittura creativa.

Spritz Carbonara Italia NYT

C’è qualcosa di nuovo (e un po’ inquietante) nella mappa gastronomica dell’Italia e a parlarne è il ‘New York Times’, che individua in due simboli ormai globali, Spritz e Carbonara, i protagonisti di una trasformazione profonda. Le città d’arte italiane, da Palermo a Firenze, sembrano ormai travolte da una forma di “colonizzazione del gusto” che cambia il volto delle strade, dei mercati e perfino della vita quotidiana.

Perché il New York Times parla di un’Italia “divorata” da Spritz e Carbonara

Nel suo reportage di ottobre firmato da Emma Bubola, il ‘New York Times’ racconta come il turismo gastronomico stia ridisegnando le città italiane, trasformando le vie storiche in lunghi corridoi di tavolini e tovaglie a quadretti. Secondo il quotidiano, ristoranti e bar moltiplicano gli stessi menu e le stesse esperienze, offrendo agli occhi dei turisti un’Italia “da cartolina” dove ogni piatto è pronto a finire su Instagram.

Come riportato su ‘HuffPost’, il giornale scrive: “A Bologna, Firenze, Roma e Torino, le strade sono state trasformate in quelli che i critici vedono come infiniti ristoranti all’aperto che servono carbonare impiattate per Instagram, mentre le donne stendono tagliatelle dietro le vetrine, in simulazioni da zoo delle nonne italiane.” Il tono è ironico ma il messaggio è chiaro: l’immagine dell’Italia autentica rischia di diventare una messa in scena, una replica studiata per i social.

In molte città italiane, le vie un tempo dedicate al commercio locale sono ormai un susseguirsi di ristoranti e bistrot che propongono Spritz, piatti tipici e menù pensati per il turismo internazionale. Le amministrazioni locali cercano di porre limiti alle nuove aperture, nel tentativo di preservare l’equilibrio urbano e impedire che i centri storici si trasformino in veri e propri villaggi gastronomici.

Come Spritz e Carbonara stanno cambiando il volto delle città italiane

Dietro l’immagine scintillante del turismo gastronomico si nasconde un mutamento urbano profondo; gli esperti parlano di “foodification”, una forma di gentrificazione alimentare che trasforma i centri storici in scenari gastronomici dove il cibo diventa motore economico e spettacolo sociale. Al posto delle botteghe e dei mercati storici spuntano locali fotocopia, mentre i residenti vengono gradualmente spinti verso le periferie.

Secondo il ‘New York Times’, dunque, il cambiamento è visibile ovunque: targhe di bed & breakfast che invadono i portoni dei palazzi, frotte di minivan e valigie che rimbalzano sui sanpietrini, negozi di limoncello, tiramisù bar e ciotole di spaghetti “instagrammabili” che occupano le vie più antiche. L’Italia sembra così perdere parte della sua complessità, sostituita da un’unica grande scenografia culinaria.

I dati sul turismo mostrano che il comparto del food & wine rappresenta ormai una fetta significativa dell’economia nazionale, e nessuno nega che sia anche una fonte di ricchezza e occupazione. Anche se, come osservano urbanisti e sociologi, la cultura del piatto facile e del cocktail fluorescente rischierebbe di schiacciare la dimensione quotidiana delle città.

Il paradosso è evidente: mentre l’Italia promuove la propria cucina come patrimonio UNESCO, i centri storici perdono proprio quella autenticità che ha reso celebre il modo di vivere italiano: se tutto diventa ristorante, se ogni strada somiglia a un food market permanente, ciò che rischia di scomparire è la vita reale che quel gusto rappresenta.

E così, tra un Spritz servito con vista sul Colosseo e una Carbonara consumata sotto le luci del Teatro Massimo, resterebbe aperta la domanda più amara: chi sta davvero divorando chi? Il turismo mangia l’Italia, o è l’Italia che si lascia divorare dal proprio mito gastronomico?